I movimenti di protesta che continuano a serpeggiare in tutta Europa contro le misure di austerità e le ricadute sociali generate da una profonda crisi finanziaria ed economica sono giunti, non senza una certa sorpresa, anche in Romania. La sorpresa viene dal fatto che non si erano più viste manifestazioni a Bucarest e nel resto del paese dalla caduta di Ceaucescu nel 1989, tanto da considerare la società rumena una società in rassegnata transizione verso l’economia di mercato e un po’ troppo affascinata dall’ingannevole sfavillio della società dei consumi dopo più di quarantacinque anni di comunismo.
La scintilla che ha fatto scattare le proteste risale al 9 gennaio scorso quando il Presidente rumeno Traian Basescu, qualifica di “nemico della riforma” il popolarissimo medico Raed Arafat, Sottosegretario di Stato alla Salute e fondatore del servizio nazionale di medicina d’urgenza. Uno scontro quindi sulla riforma del sistema sanitario che il Governo avrebbe voluto privatizzare e che aveva portato alle dimissioni, ora rientrate, del Dottor Arafat e al ritiro del progetto governativo. Ma questo episodio non spiega da solo le ragioni delle proteste, che, sebbene rallentate in questi ultimi giorni dal freddo polare che ha investito il paese, sono andate avanti con contenuti sempre più precisi e coinvolgendo tutte le categorie della popolazione, dagli anziani agli studenti, dai lavoratori ai disoccupati, dai semplici cittadini agli intellettuali, dagli insegnanti ai pensionati. Un segno forte del risveglio di una società che subisce fortemente le misure imposte dall’austerità e dal Fondo Monetario Internazionale e che, nel contempo chiede due cose: che Basescu se ne vada e permetta l’emergere di una nuova classe politica e che si metta fine ad una corruzione dilagante che tocca tutte le leve del potere e impedisce lo sviluppo economico del paese.
La Romania, in piena recessione, è infatti uno dei paesi dell’UE che soffre maggiormente per la crisi finanziaria ed economica. Nella primavera del 2010, dopo un accordo con il Fondo Monetario Internazionale e un prestito di 20 miliardi di Euro per sostenere l’economia, il Governo ha ridotto gli stipendi dei funzionari del 25%, le pensioni del 15%, ha portato l’IVA al 24% e ha ridotto drasticamente gli interventi sociali.
Ma oltre alle proteste per la difficile situazione economica e i sacrifici chiesti ad una popolazione di per sé non proprio abituata a confortevoli condizioni di vita, le manifestazioni hanno messo in evidenza anche striscioni che chiedevano più democrazia, più libertà di stampa, più coinvolgimento e dialogo con la popolazione e più rispetto per il Parlamento. Recentemente infatti il Governo si era impegnato su una serie di leggi, senza per altro farle approvare dal Parlamento, fra cui la revisione del Codice del lavoro, adottata nel febbraio scorso e una nuova legge elettorale, ora al vaglio della Corte costituzionale su richiesta dei partiti d’opposizione.
Tuttavia, i partiti d’opposizione stentano ad organizzarsi e a presentarsi come alternativa democratica all’attuale Governo. La sfiducia dei romeni e la percezione di una diffusa corruzione hanno allontanato sempre più i cittadini dalle urne. Secondo uno studio pubblicato nel 2009 dall’Istituto rumeno per le politiche pubbliche, l’affluenza alle urne è passata dall’86,2% nel 1990 al 39,2% nel 2008. Uno scarto impressionante nell’esercizio della democrazia che lascia purtroppo aperti varchi pericolosi a possibili discorsi populisti.
Nel frattempo le manifestazioni andranno avanti e, anche se nulla si sa sulle intenzioni del Presidente Basescu, una nuova coscienza civile sta indubbiamente emergendo anche in Romania.
La scintilla che ha fatto scattare le proteste risale al 9 gennaio scorso quando il Presidente rumeno Traian Basescu, qualifica di “nemico della riforma” il popolarissimo medico Raed Arafat, Sottosegretario di Stato alla Salute e fondatore del servizio nazionale di medicina d’urgenza. Uno scontro quindi sulla riforma del sistema sanitario che il Governo avrebbe voluto privatizzare e che aveva portato alle dimissioni, ora rientrate, del Dottor Arafat e al ritiro del progetto governativo. Ma questo episodio non spiega da solo le ragioni delle proteste, che, sebbene rallentate in questi ultimi giorni dal freddo polare che ha investito il paese, sono andate avanti con contenuti sempre più precisi e coinvolgendo tutte le categorie della popolazione, dagli anziani agli studenti, dai lavoratori ai disoccupati, dai semplici cittadini agli intellettuali, dagli insegnanti ai pensionati. Un segno forte del risveglio di una società che subisce fortemente le misure imposte dall’austerità e dal Fondo Monetario Internazionale e che, nel contempo chiede due cose: che Basescu se ne vada e permetta l’emergere di una nuova classe politica e che si metta fine ad una corruzione dilagante che tocca tutte le leve del potere e impedisce lo sviluppo economico del paese.
La Romania, in piena recessione, è infatti uno dei paesi dell’UE che soffre maggiormente per la crisi finanziaria ed economica. Nella primavera del 2010, dopo un accordo con il Fondo Monetario Internazionale e un prestito di 20 miliardi di Euro per sostenere l’economia, il Governo ha ridotto gli stipendi dei funzionari del 25%, le pensioni del 15%, ha portato l’IVA al 24% e ha ridotto drasticamente gli interventi sociali.
Ma oltre alle proteste per la difficile situazione economica e i sacrifici chiesti ad una popolazione di per sé non proprio abituata a confortevoli condizioni di vita, le manifestazioni hanno messo in evidenza anche striscioni che chiedevano più democrazia, più libertà di stampa, più coinvolgimento e dialogo con la popolazione e più rispetto per il Parlamento. Recentemente infatti il Governo si era impegnato su una serie di leggi, senza per altro farle approvare dal Parlamento, fra cui la revisione del Codice del lavoro, adottata nel febbraio scorso e una nuova legge elettorale, ora al vaglio della Corte costituzionale su richiesta dei partiti d’opposizione.
Tuttavia, i partiti d’opposizione stentano ad organizzarsi e a presentarsi come alternativa democratica all’attuale Governo. La sfiducia dei romeni e la percezione di una diffusa corruzione hanno allontanato sempre più i cittadini dalle urne. Secondo uno studio pubblicato nel 2009 dall’Istituto rumeno per le politiche pubbliche, l’affluenza alle urne è passata dall’86,2% nel 1990 al 39,2% nel 2008. Uno scarto impressionante nell’esercizio della democrazia che lascia purtroppo aperti varchi pericolosi a possibili discorsi populisti.
Nel frattempo le manifestazioni andranno avanti e, anche se nulla si sa sulle intenzioni del Presidente Basescu, una nuova coscienza civile sta indubbiamente emergendo anche in Romania.