Unione Europea: sicurezza e diritti fondamentali

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Non è facile essere europei quando i problemi si fanno complicati. Come nel caso della sicurezza, tanto quella per la difesa militare che per quella sociale, per rispondere alla povertà.

Almeno due guerre sono in corso in Europa e tra loro intrecciate: quella mossa dalla Russia all’Ucraina e quella che miete vittime tra fasce vulnerabili della popolazione, anche nell’Unione Europea, dove la povertà è in costante aumento.

Di quanto sia difficile per l’UE trovare un’intesa nella risposta all’invasione russa lo abbiamo imparato in questi mesi, durante i quali la solidarietà europea per la sicurezza delle frontiere ha tenuto nonostante le molte divergenze al proprio interno e con gli alleati.

Dobbiamo però ancora imparare quanto sia difficile allineare nell’UE anche la sicurezza sociale, quel welfare di cui siamo fieri, ma che proviamo crescenti difficoltà a difendere in questo lungo periodo di crisi economica che incoraggia molto gli egoismi nazionali. Basta ricordare il tema urgente delle pensioni che, in un’Europa con la demografia in calo e l’aumento dell’età media della popolazione, sta mettendo sotto pressione i bilanci degli Stati, come sta sperimentando in questi giorni il governo francese.

A confermare questa situazione di difficoltà a rispondere a livello europeo in materia di sicurezza sociale è intervenuta la settimana scorsa anche una Raccomandazione del Consiglio dei ministri UE su un “adeguato reddito minimo” per promuovere “un accesso effettivo ai servizi abilitanti ed essenziali per le persone che non dispongono di risorse sufficienti e favorendo l’integrazione nel mercato del lavoro di chi può lavorare”. E’ la traduzione in gergo brussellese di un tema che si intreccia con quello che in Italia va sotto il nome di “reddito di cittadinanza”.

In un’Unione Europea dove nel 2021 oltre 95,4 milioni di persone – una su cinque – continuavano a essere a rischio povertà, con un’evoluzione ulteriormente negativa nel 2022 segnato dalla guerra e dalla crisi energetica, l’intervento del Consiglio dei ministri mira a “rafforzare solide reti di sicurezza sociale combinando un adeguato sostegno al reddito mediante prestazioni di reddito minimo e altre prestazioni monetarie e in natura di accompagnamento”. 

Nell’armamentario normativo dell’UE la “Raccomandazione” è uno strumento senza obblighi vincolanti, ma resta comunque un documento politico di orientamento che chiede a tutti gli Stati membri di convergere verso soglie di protezione sociali comuni. Nel caso dell’Italia, il cui attuale governo ha firmato il documento, l’impegno sottoscritto dovrà comporsi con l’annuncio di rivedere il reddito di cittadinanza in senso riduttivo, mentre altra è la direzione che sta prendendo l’UE. Per l’obiettivo europeo è stata fissata la scadenza, non proprio vicina, del 2030 con l’impegno a riesaminare periodicamente lo stato di avanzamento delle misure prese.

Quasi contemporaneamente un’altra Istituzione europea, il Consiglio d’Europa che raccoglie 46 Stati del continente, con ruoli e poteri distinti da quelli dell’UE, è intervenuto su un’altra materia molto calda per il governo italiano: quella delle recenti normative del ministero dell’interno sulle operazioni in mare delle ONG per il salvataggio dei migranti.

Anche qui l’Europa rema in un’altra direzione che non l’Italia e lo dice chiaramente la lettera, appena  arrivata da Strasburgo da parte della Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, che invita il governo italiano a “ritirare il decreto legge sulle Ong, o adottare le modifiche necessarie per assicurare la piena conformità del testo agli obblighi del Paese in materia di diritti umani e diritto internazionale”.

L’impressione è che, dopo un primo momento di avvicinamento all’Europa, il nuovo governo italiano stenti a mantenere la rotta europea e la sua credibilità internazionale.

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