Il recente viaggio di Papa Francesco in Congo e in Sud Sudan, ha ulteriormente messo il dito sulla piaga delle guerre, della violenza e dell’odio che scuotono molti Paesi dell’Africa. Le testimonianze delle persone, vittime di abusi e di inimmaginabili atrocità, venivano deposte ai piedi del Pontefice, quasi a consegnare a Dio un insopportabile fardello umano.
Papa Francesco ha invocato la pace e la fratellanza, si è rivolto ai giovani indicando loro che un futuro diverso e di speranza si trova essenzialmente nelle loro mani e che solo loro possono interrompere quella spirale di violenza che insanguina e impoverisce il loro Paese. Il Congo è infatti in preda, nella sua parte orientale, ad una guerra fra bande armate che dura da anni, mietendo migliaia di vittime e di sfollati.
Non meno impegnativa la tappa del Papa nel Sud Sudan, giovane Stato indipendente dal 2011, dove le armi non hanno ancora smesso di tuonare e dove la povertà e la corruzione mordono gli animi. Anche qui il messaggio di Papa Francesco, rivolto in particolare ai giovani si riassume in una frase: ”Impariamo a mettere sulle ferite il sale del perdono, che brucia ma guarisce”.
Se, da una parte, il viaggio del Papa, “pellegrino di pace” , ha rimesso sotto i riflettori due delle tante guerre dimenticate dell’Africa, dall’altra ha posto al centro di una riflessione universale, la complessità dei tanti ingredienti necessari per costruire e raggiungere la pace.
La pace significa rendere possibile democrazia, partecipazione civica e politica, libertà, rispetto dei diritti umani, sconfitta di tutte le povertà, uguaglianza, ma soprattutto convivenza fra i popoli e rispetto del diritto internazionale. Ingredienti che pesano, in particolare, sulle spalle dei responsabili politici ma anche dei cittadini, consapevoli di quanto preziosa e fragile sia la difesa della pace stessa.
Non è facile capire, proprio per la sua complessità, la salute del mondo al riguardo. Ci aiutano tuttavia, ogni anno, i rapporti di autorevoli Istituzioni che misurano costantemente il rispetto dei diritti fondamentali nonché lo stato della democrazia nel mondo, oggi più che mai sotto pressione un po’ ovunque e confrontata all’emergere di pericolose tentazioni sovraniste e nazionaliste. Non solo, ma la guerra mossa dalla Russia all’Ucraina, ha messo in evidenza, fra le tante ricadute, anche quella di un confronto, sulla scena globale, fra democrazie, “democrature” , autoritarismi e dittature. In questo scenario, l’ultimo rapporto, edito all’inizio di febbraio sulla democrazia nel mondo, offre una panoramica poco incoraggiante. Basato su cinque criteri di indagine, processo elettorale e pluralismo, funzionamento del governo, partecipazione politica, cultura politica democratica e libertà civili, il rapporto indica che quasi la metà (45,3 per cento) della popolazione mondiale vive in una sorta di democrazia, mentre più di un terzo (36,9 per cento) vive sotto un regime autoritario.
Se l’Africa, sulla cartina del mondo, appare il continente più esposto alla mancanza di risorse per costruire la pace, bisogna purtroppo constatare che la guerra ha fatto inaspettatamente irruzione anche in Europa, con il rischio di mettere in pericolo quei valori che hanno garantito pace e democrazia per più di settant’anni. Un’eredità importante, da difendere e da condividere, se possibile, con un mondo dai tanti conflitti e in piena inesplorata evoluzione.