Unione Europea: pagare meglio chi lavora

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Al momento del suo insediamento, nel 2020, alla presidenza della Commissione europea, Ursula von der Leyen si era impegnata a raggiungere l’obiettivo di “uno strumento giuridico per garantire nell’Unione un salario minimo equo a tutti i lavoratori” e dopo due anni di un confronto serrato con governi e parti sociali siamo oggi alla vigilia dell’adozione di una direttiva su un salario minimo nell’UE.

Chiariamo subito i nodi essenziali di un tema complesso. Innanzitutto si tratta di una “Direttiva”, cioè di uno strumento giuridico vincolante al momento del suo recepimento nella legislazione nazionale con un margine di flessibilità nella sua applicazione nei diversi Paesi UE. Non si tratta quindi di un’imposizione di Bruxelles, ancor meno in questo caso che prevede libertà per gli Stati membri di optare o meno per un salario minimo fissato per legge.

Questo per tenere conto di situazioni molto diverse nell’UE, dove 21 Paesi su 27 hanno un salario minimo legale che non esiste in altri 6 Paesi:Italia, Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia.

A questo si aggiungono grandi diversità di soglia nei Paesi con salario minimo legale: si va dai 2.257 euro in Lussemburgo ai 332 in Bulgaria, mentre viaggiano appaiati due Paesi importanti come Germania (1621 euro) e Francia (1603 euro).

Cercare di far convergere situazioni così distanti non è stata impresa facile e continuerà a non esserlo, non solo perché la Direttiva lascia ai suoi partner libertà di scelta, ma più ancora perché un simile provvedimento vede schierati su fronti opposti non solo le Istituzioni nazionali e i loro rappresentanti politici, ma anche le parti sociali che, per non semplificare nulla, registrano importanti contrasti non solo tra le organizzazioni imprenditoriali e quelle sindacali, ma anche tra i sindacati stessi, non tutti favorevoli ad intervenire in materia con uno strumento legislativo.

Per limitarci solo all’Italia il confronto tra gli attori politici e quelli sociali è particolarmente complesso. Tra le forze politiche si dichiarano contrarie i partiti del centro-destra, tendenzialmente in favore con qualche cautela quelle di centro-sinistra e più deciso il Movimento Cinque stelle, con il governo e il ministro del lavoro Orlando attenti ai possibili sviluppi futuri della direttiva europea.

Tra le parti sociali è netta l’opposizione delle organizzazioni imprenditoriali, Confindustria in testa, che chiede invece di ridurre le tasse sul lavoro – il cosiddetto “cuneo fiscale” – tema sui cui concordano i sindacati, divisi però tra di loro sul ruolo da affidare alla legge o alla contrattazione la politica salariale. Sarebbe saggio a questo punto non contrapporre i due strumenti, ma avvalersi degli aspetti positivi di entrambi, in particolare a favore di chi lavora in settori con ancora deboli livelli di contrattazione.

Quanto basta per annunciare intese difficili in Italia sui margini di flessibilità nell’applicazione della Direttiva europea, dove si oppongono tra loro quanti sono orientati verso una regolazione in parte legale del salario e quanti preferiscono affidarsi alla contrattazione, anche per tenere conto delle diversità dei differenti settori produttivi e dei diversi profili dei lavoratori.

Per non semplificare nulla, nell’attuale situazione economica incerta, con un’alta inflazione e un mancato adeguamento dei salari, il tema del salario minimo si intreccerà con le turbolenze che da tempo investono quello della lotta alla povertà e, in particolare, del reddito di cittadinanza, il cui bilancio non sembra particolarmente brillante, nonostante gli alti costi riversati sulla spesa pubblica, già alle prese con un debito crescente.

Non sfugge che in questa prospettiva si profila il ruolo dei sindacati chiamati ad esprimersi su un “patto sociale” con il governo, tema che presenta più divergenze che convergenze tra gli attori interessati. Come non sfugge che, al di là degli aspetti tecnici, è in gioco la difesa della dignità del lavoro a fronte di una crisi economica e sociale che si annuncia particolarmente acuta.   

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