Un’Europa per giovani

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Va lenta l’Europa-tartaruga, ma alla fine arriva o, almeno, riprende la direzione giusta e si spera che prima o poi giunga a destinazione. Potrebbe essere questo un primo commento al Consiglio europeo del 30 gennaio a Bruxelles, non ancora una svolta decisa verso il futuro, ma il segnale che il futuro sta tornando all’ordine del giorno sui tavoli delle Istituzioni comunitarie.
Con il futuro tornano al centro dell’attenzione la crescita, il lavoro, in particolare quello dei giovani. Dopo mesi di tormentoni su debito e deficit, sulla Grecia in situazione fallimentare e l’Italia sull’orlo del baratro, sulle incursioni corsare delle agenzie di rating e gli appelli alla Germania perché facesse davvero i suoi interessi, facendo quelli dell’euro e dell’UE, finalmente si sono affacciati altri temi, ancora timidamente, ma meglio tardi che mai.
Sono stati avviati a soluzione i temi della stabilità delle finanze pubbliche e le misure per il rientro dal debito con il loro corteo di sanzioni, più o meno automatiche, in cambio di un rafforzamento del Fondo salva-Stati e di un po’ di ossigeno per i Paesi appena fuori dal coma. L’Accordo del “Patto fiscale”, da cui si era chiamata fuori la Gran Bretagna, rischia di perdere per strada anche la Repubblica Ceca, senza che questo ne impedisca una sua rapida adozione. Funzionerà da stampella nell’attesa che si metta rapidamente in cantiere un vero “Patto per lo sviluppo”, questa volta autenticamente comunitario, con una larga partecipazione dei cittadini europei e dei giovani in particolare.
Un’Europa per giovani, adesso.
Vanno già in questa direzione le prime misure varate a Bruxelles dal Consiglio europeo, su proposta della Commissione, tornata finalmente in vita. Ancora poca cosa, quasi solo un simbolo per ora, ma con i tempi che corrono non è da disprezzare il nuovo “tesoretto” di 82 miliardi di euro per stimolare l’occupazione giovanile.
Perché queste misure si traducano in una politica europea del lavoro, sarà necessario ancora del tempo e, probabilmente, un nuovo Trattato, che liberi le molte potenzialità dell’UE, con Istituzioni riformate e guidate da leadership giovani, se non per età, almeno nello spirito.
Importanti Paesi europei, ad esclusione dell’Italia, hanno fatto l’esperienza di governanti relativamente giovani: Merkel, arrivata al vertice del governo tedesco a appena 51 anni; Sarkozy, Presidente della Francia a 52 anni; Zapatero, primo ministro spagnolo a 44 anni e Cameron alla guida della Gran Bretagna a 43 anni. Purtroppo nell’UE hanno portato poca innovazione. Da noi, “grandi vecchi” come, più recentemente, Ciampi e Napolitano hanno mostrato più attenzione al futuro dell’Europa e dei giovani, a riprova che non è sempre solo l’età che conta.
Volere un’Europa per giovani non è prima di tutto solo un obiettivo anagrafico.
Un’Europa per giovani vuol dire prima di tutto conservare la memoria del passato e la cultura della pace per meglio investire sul futuro, costruire un’Europa dei cittadini oltre che degli Stati, puntare sulla solidarietà tra Paesi e generazioni piuttosto che soltanto sui propri interessi immediati, stimolare l’innovazione, la crescita e il lavoro oltre che risanare i conti pubblici, puntare sulla ricerca e la formazione dei nostri giovani talenti invitandoli ad andare per il mondo per poi tornare a lavorare a casa nostra.
Ne risulterà un giacimento di risorse umane giovani da cui attingere anche per nuove e più creative leadership che ridiano smalto e ruolo a questa “vecchia Europa” alla quale dobbiamo tanto, compreso il dovere di farla tornare a volare alto.
Il cantiere dell’integrazione politica è aperto: tocca adesso ai giovani sporcarsi le mani e correre il rischio esaltante di una nuova grande avventura europea.

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