Un’estate calda per l’Europa e l’Italia

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Sarà   un’estate calda, molto calda, se non per il clima previsto dai meteorologi, sicuramente per la politica e l’economia europea e italiana.
L’Europa è da mesi alle prese con il problema del dissesto finanziario della Grecia e dei conti pubblici traballanti di Irlanda e Portogallo, in attesa di capire come evolveranno la situazione della Spagna e le nuvole basse sull’Italia e il suo sistema bancario alla prova delle nuove regole di Basilea 3 che impongono a tutti gli istituti bancari una rafforzata solidità   patrimoniale. Segnali di nervosismo a questo proposito si sono visti nei giorni scorsi sui mercati, stimolati da annunci non sempre limpidi delle agenzie di rating, mentre ulteriori motivi di allarme sono venuti dal differenziale crescente dei titoli di Stato italiani rispetto ai corrispondenti titoli tedeschi.
Si prepara ad affrontare tutte queste ed altre tempeste il futuro presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, nominato all’unanimità   dal Consiglio Europeo dei capi di Stato e di governo del 23-24 giugno 2011. Una nomina maturata negli ultimi mesi, fondata più sulle qualità   del personaggio e della scuola di Bankitalia che non sulla credibilità   del governo italiano. Quest’ultimo ha dovuto anche fare i conti con il problema, sollevato non senza arroganza dalla Francia, di una doppia presenza italiana nel Comitato esecutivo della BCE con l’arrivo di Draghi e la permanenza di un altro italiano, Lorenzo Bini Smaghi, forte di una nomina a tempo che non prevedeva una sua uscita con l’arrivo del nuovo presidente. Le regole scritte erano chiaramente in favore di Bini Smaghi, non così quelle della politica dei governi europei che da una parte declamano l’indipendenza della BCE e dall’altra manovrano per esercitare su di questa la maggiore influenza possibile, in quel consolidato stile intergovernativo che fa prevalere gli interessi degli Stati nazionali – Francia e Germania, in particolare – su quelli dell’Unione Europea e delle sue Istituzioni.
Una tendenza che sta erodendo da tempo l’autorevolezza della Commissione Europea e adesso rischia di estendersi alla BCE; resistono come possono a questa invasione di campo il Parlamento e la Corte di Giustizia dell’UE a fronte di un Consiglio dei ministri, sempre più istituzione intergovernativa, in difficoltà   a trovare un consenso per decidere nell’interesse dell’UE.
In questo scenario istituzionale, reso fragile dalle molteplici crisi in corso, si dovrà   muovere la BCE, con il suo nuovo presidente, per governare l’euro, vegliare sul sistema bancario, raffreddare l’inflazione senza congelare la crescita con un rischioso innalzamento dei tassi di interesse che, tra l’altro, renderebbe più arduo il risanamento dei conti pubblici dei Paesi in difficoltà  : per farsene un’idea basti pensare agli oltre 75 miliardi che, per onorare i soli interessi del debito pubblico, deve sborsare ogni anno l’Italia.
L’Italia appunto, dentro fino al collo in un’estate calda, non solo per i roghi dei rifiuti a Napoli, le turbolenze attorno alla TAV e la mala-politica diffusa un po’ ovunque ma, nell’immediato, per una nuova manovra finanziaria che, se fosse seria, per fare bene all’Italia non potrebbe evitare di fare male a molti privilegi, ridurre stipendi e prebende, salvo ripiegare ancora su ulteriori tagli agli investimenti e agli Enti Locali, alla spesa sociale, in particolare a quella sanitaria, e alla spesa per l’istruzione e la ricerca.
Tutti gli occhi sono puntati sulla finanziaria in cantiere, ancora avvolta nella nebbia: quelli dell’Europa che si aspetta da noi un pareggio di bilancio entro il 2014, quelli della fragile maggioranza dove si annidano privilegi, corporazioni e veti incrociati nei quali si distingue la Lega e, infine, gli occhi dell’opposizione che non puಠpraticare la politica del «tanto peggio, tanto meglio».
Il conto da pagare, non all’Europa ma al futuro dell’Italia come ci ha appena ricordato con preoccupazione la nostra Corte dei conti, è salato: circa 45, e forse più miliardi di euro da trovare di qui al 2014, mandando ai mercati e a Bruxelles segnali forti e credibili fin da subito. Non rinviandoli, come sembra nelle intenzioni del governo, fra due anni ad elezioni avvenute, quando magari sarà   troppo tardi, con il rischio di fare la fine della Grecia.
Più d’uno, a proposito della bozza di finanziaria conosciuta ad oggi, ha parlato di «furbata» o di «truffa», frutto di una politica che tira a campare e a sopravvivere a se stessa. Mettendo in pericolo l’Italia ed esponendola inerme all’assalto della speculazione internazionale.
Intanto va registrata la remissività   di Giulio Tremonti, che sembra arrendersi davanti alla voce grossa della Lega e agli interessi elettorali dell’attuale maggioranza in affanno, come testimoniano recenti vicende parlamentari. Dalla sua il ministro dell’Economia aveva le Istituzioni europee: vedremo presto quale sarà   il loro giudizio e quale sarà   il destino della finanziaria e nostro.
Per ora sembra vincere l’irresponsabile politica del rinvio: proprio quello di cui l’Italia e l’Europa non avevano bisogno.
E nemmeno noi, che viviamo in Italia e, per adesso, ancora nell’Unione Europea.

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