UE: salvare la Grecia per proteggere l’euro

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Un vero rompicapo al tavolo del Vertice europeo dei capi di Stato e di governo, la settimana scorsa a Bruxelles: troppi numeri da far quadrare per trovare una soluzione condivisa. Cominciando dall’affollamento di presidenti attorno a quel tavolo: 27 presidenti di governo dei Paesi membri, cinque presidenti «europei» (il presidente stabile belga del Consiglio Europeo, il presidente spagnolo del turno semestrale dello stesso Consiglio, il presidente portoghese della Commissione, il presidente polacco del Parlamento Europeo, il presidente francese della Banca Centrale, il presidente lussemburghese dell’euro-zona) e, per fortuna, un solo ministro degli Esteri che avrebbe dovuto rappresentare i 27 ministri nazionali non invitati.
Tutta questa bella gente al capezzale di un Paese, la Grecia, sull’orlo della bancarotta e, nei letti vicini, la Spagna, il Portogallo e l’Irlanda mentre in infermeria altri Paesi aspettano di conoscere la diagnosi dello stato di salute dei loro conti pubblici e, tra questi, l’Italia. Anche qui i numeri sono impressionanti, sia che riguardino il tasso negativo di crescita o il deficit e il debito sul Prodotto Interno Lordo (PIL), dato quest’ultimo che vede l’Italia in testa alla classifica dei debitori con il 116% sul PIL, quando la soglia di riferimento era stata fissata al 60%.
Per l’Unione Europea che, nonostante l’entrata in vigore del nuovo Trattato di Lisbona, stenta ad uscire da un letargo in corso da anni era l’occasione per un colpo di reni e per dimostrare ai suoi cittadini e al mondo – oltre che agli speculatori finanziari in agguato – che Unione vuol dire solidarietà   e solidarietà   vuole anche dire costi condivisi. Dopo lunghi giorni di incertezza, si è fatto avanti l’asse franco-tedesco per spingere il resto della zona euro a venire in soccorso alla Grecia, a fronte di un programma ellenico di rigore e di rispetto delle regole per una sana gestione delle finanze pubbliche. La decisione non era facile, viste le rigidità   dell’accordo monetario europeo e il prezzo che i Paesi dell’eurozona avrebbero dovuto accollarsi, ma la prospettiva di affidare un Paese membro alle cure, spesso traumatiche, del Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha certamente aiutato la decisione, diventata necessaria per salvare quello che resta della credibilità   dell’Europa e del suo progetto di integrazione se non politica, almeno economica.
A nessuno è sfuggito – in particolare alla Banca Centrale Europea e alla Germania – che in gioco vi era la tenuta dell’euro, anche se il suo relativo indebolimento in questi ultimi giorni non è dispiaciuto più di tanto a chi aveva difficoltà   ad esportare in un mondo che stenta ad uscire dal tunnel della crisi. Ma la vicenda è stata anche l’occasione – almeno si spera – per ripensare l’impianto dell’UE, delle sue politiche e, in particolare, per rimediare all’assenza di un governo europeo dell’economia che non puಠpiù essere delegato alla sola moneta.
Quando il Vertice della settimana scorsa venne convocato, il tema principale dovevano essere le politiche europee per uscire dalla crisi e affrontare con più efficacia la disoccupazione crescente e rivedere, in questa prospettiva, la «strategia di Lisbona» rivelatasi pesantemente fallimentare, riorientandola all’orizzonte 2020. Il Vertice doveva anche segnare il debutto del nuovo presidente stabile del Consiglio Europeo, il belga Van Rompuy, e del ministro degli Esteri, la britannica Alshton. C’è stata troppa confusione attorno a quel tavolo per capire con chiarezza quale sia stato il loro ruolo effettivo e probabilmente ci vorrà   ancora tempo per dare un giudizio. Per adesso si è confermato il ruolo dell’asse franco-tedesco, anche se con visioni diverse nella coppia Sarkozy-Merkel, il primo decisamente più favorevole ad un governo europeo dell’economia di quanto non sia la cancelliera tedesca.
E il ruolo dell’Italia, in questa vicenda che peserà   non poco sul futuro dell’UE? Ancora una volta ininfluente e anche fuori tempo, con il presidente del Consiglio che ha messo sul tavolo il problema della sostenibilità   delle pensioni, quasi a candidare l’Italia ad un intervento risolutivo dell’UE in materia, nonostante che il tema non sia di competenza comunitaria. A qualcuno è venuto anche il sospetto di una mossa furbetta, se un giorno questo nostro Paese, con i conti pubblici in una crisi profonda, dovesse fare ricorso alla protezione dell’Unione Europea come sta accadendo per la Grecia.
Se questa è l’Italia che spera di accedere nel 2011 alla presidenza della Banca Centrale Europea, allora tanti auguri all’ottimo candidato Mario Draghi. Ma questo è un copione già   visto e rivisto, prima per la presidenza del Parlamento Europeo e, più recentemente, per la poltrona di ministro degli Esteri. àˆ alto il rischio che prevalga ancora una volta il detto: «non c’è due senza tre».

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