UE e migranti: un passo avanti o di lato?

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Ci sono voluti sette anni di attesa, da quell’imponente flusso di migranti siriani nel 2015, 

e quasi tre anni di negoziati UE e troppi morti per approdare ad una bozza di accordo sul tema drammatico dei migranti nell’Unione Europea.

E’ del settembre 2020 un “Patto sulla migrazione e l’asilo” nel quale la Commissione europea proponeva di migliorare la cooperazione con i Paesi di origine e di transito dei migranti e di concordare un’equa ripartizione delle responsabilità e solidarietà tra gli Stati membri, con l’impegno dell’UE a promuovere partenariati con Paesi terzi per affrontare meglio il contrasto al traffico di migranti e di istituire percorsi legali, anche nell’ambito dei rimpatri. 

Vaste programme”, avrebbe detto il Generale De Gaulle, troppo poco per un’Europa dei diritti, troppo per Ventisette Paesi UE ossessionati dagli “interessi della nazione” e con gli occhi fissi non al mondo, ma alle frontiere dell’Unione, esterne e interne.

Dal settembre 2020 si sono susseguiti Consigli UE di ogni genere, da quelli dei ministri degli interni e degli affari esteri ai Consigli europei dei Capi di Stato e di governo: ne resta traccia in poche righe di comunicati che annunciavano il rinvio dell’accordo.

Il 25 novembre 2022 la Commissione europea è tornata alla carica presentando al Consiglio straordinario UE Giustizia e Affari interni un nuovo “Piano d’azione sul Mediterraneo centrale”, concentrandosi su una delle principali rotte migratorie.

Questa nuova proposta rinviava  le soluzioni strutturali per le riforme in materia di asilo e migrazione in fase di negoziazione, ripiegando su una serie di 20 misure operative articolate attorno a tre pilastri: collaborazione con i Paesi partner e le organizzazioni internazionali, un approccio più coordinato alla ricerca e al salvataggio e il rafforzamento del “Meccanismo volontario di solidarietà”, la cui volontarietà aveva dato scarsi frutti.

E si arriva così al fragile accordo dell’8 settembre scorso tra i ministri degli interni UE, con il voto contrario di Polonia e Ungheria, l’astensione di Slovacchia, Lituania, Malta e Bulgaria e la prospettiva di una difficile negoziato tra Parlamento e Consiglio dei ministri per arrivare a misure vincolanti. La sostanza dell’intesa si fonda sull’obbligo di un ricollocamento minimo dei richiedenti asilo, ma con una “via di fuga” per il Paese che lo rifiutasse di pagare una “multa” di 20mila euro. Manca solo una clausola che preveda eventuali variazioni per tenere conto dell’inflazione…

Questo “obbligo flessibile” ha avuto il consenso dell’Italia  a fronte dell’opposizione dei Paesi di Visegrad, con una prima rottura con le “amiche” Polonia e Ungheria, ma ha anche imposto all’Italia  di essere molto più rigorosa nell’accoglienza e nell’identificazione di chi entra nell’UE irregolarmente e questo entro 24 ore per evitare che, come accade spesso, i migranti si trasferiscano in altri Paesi UE. Altre misure prevedono di facilitare i rimpatri verso uno “Stato terzo sicuro”, non facile da identificare, mentre la responsabilità di farsi carico delle domande di asilo è nella responsabilità dello Stato di primo arrivo per due anni, un anno soltanto se si tratta di migrante salvato in mare.

Chiamare storico questo accordo – un passo di lato piuttosto che un passo avanti – può consolare qualcuno e salvare provvisoriamente la faccia a governi impauriti, ma non salva l’onore di un’Unione che continua a mercanteggiare sulla pelle dei disperati, senza uno straccio di visione di un futuro che annuncia un’Europa in crisi di natalità e in rapido invecchiamento, con un mercato del lavoro in carenza di nuove risorse umane.

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