UE: allargarsi ma senza scoppiare

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La prima Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) era nata poco più di settant’anni fa nel 1951, ne facevano parte sei Paesi tra cui l’Italia, ne erano il motore principale Francia e Germania. Bisognò aspettare oltre vent’anni per vedere il primo allargamento e i primi scricchiolii nell’edificio, progettato dai Padri fondatori, ad opera di Regno Unito e Danimarca.

Meno di dieci anni dopo arrivò la Grecia, da ancorare alla democrazia dopo la caduta del regime dei colonnelli, seguita nel 1985 da Spagna e Portogallo reduci anch’essi da una lunga stagione senza democrazia.

Altri dieci anni dovranno passare per accogliere nell’Unione Europea Austria, Finlandia e Svezia e riunire i Paesi dell’Europa occidentale e lì ci si sarebbe potuti fermare: per l’ingresso di Norvegia e Svizzera bastava un po’ di pazienza e sarebbero arrivati.

Ma era fare i conti senza le sorprese della storia e la sua irruzione in Europa con la caduta nel 1989 del Muro di Berlino e il varco che avrebbe aperto verso est. L’UE impiegò circa quindici anni ad allargarsi in quella direzione, proseguendo il suo cammino verso l’unificazione continentale, accogliendo una decina di Paesi reduci dalla dissolta Unione sovietica e aggiungendo alla lista nel 2013 la Croazia, ma anche liberandosi del Regno Unito nel 2020.

Oggi l’UE conta 27 Paesi membri, sono in coda per entrarvi i Paesi balcanici e dalla settimana scorsa si sono aggiunti l’Ucraina e la Moldavia e presto anche la Georgia. Salvo sorprese , di cui la storia non è avara, ci stiamo avviando verso una quarantina di Stati membri, un numero non lontano da quello del Consiglio d’Europa creato nel 1949 e la cui rilevanza non pesa molto nelle tumultuose vicende del mondo.

Da chiedersi se anche l’Unione Europea rischi lo stesso destino, quello di allargarsi molto per contare poco o anche peggio. C’è chi lo teme e chi addirittura evoca la favola di Esopo della rana e del bue, con la prima che si gonfia fino a scoppiare per farsi grande di fronte al secondo.

Tradotto, si tratta di capire in tempo quanto questa Unione possa ancora allargarsi senza prima consolidarsi al suo interno, adattando le sue barcollanti Istituzioni e le sue obsolete regole che, per le decisioni più importanti, la impiccano al voto all’unanimità, come ci hanno ampiamente insegnato Polonia, Ungheria e non solo.

Da oltre settant’anni stiamo cercando di riuscire in un’impresa straordinaria, quella di costruire una “democrazia tra le nazioni” mentre gli ultimi arrivi nell’Unione provano difficoltà a costruire la democrazia all’interno della “propria nazione” e anche i Paesi da tempo nell’UE devono fare i conti con le loro fragilità democratiche.

Non è certo sommando due debolezze che nasce la forza, quella di cui ha urgente bisogno l’UE per rispondere alle sfide epocali cui è chiamata.

La decisione di aprire la procedura di adesione, lunga e complicata, all’Ucraina è stata definita da più parti storica e sicuramente lo sarà in futuro, qualunque ne sia l’esito finale.

Lo sarà con beneficio per tutti se l’adesione tra non pochi anni arriverà a buon fine, superata la situazione di guerra e rafforzata nella sua ancora precaria democrazia; sarà storica anche se il percorso si incepperà per strada, come nel caso della Turchia, e peserà nella storia dell’Unione se vi entrerà portando, insieme ad altri, i virus del nazionalismo e del non rispetto dello Stato di diritto, alimentando così focolai di instabilità politica e di tensioni sociali, senza contare i postumi di una guerra che renderà a lungo difficile la ripresa di un necessario dialogo con quella parte di Europa che si chiama Russia.

Non stupisce allora che gli allargamenti dell’UE esigano tempi lunghi e riforme profonde nei Paesi candidati mentre impongono tempi brevi per riforme all’interno delle attuali Istituzioni UE, oggi non in grado di reggere nuovi allargamenti di questa rilevanza politica ed economica, pena gonfiarsi fino a scoppiare. Può mettere al riparo da questa sciagura soltanto la formazione, nella più vasta “Comunità politica europea”, di un nucleo “federale” frutto di limitazioni delle sovranità nazionali e dotato di nuove regole per decidere e di mirate competenze politiche come quelle in materia di sicurezza e difesa e, con almeno altrettanta urgenza, quelle per una politica comune dell’energia.

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