Ue: adesso e’ crisi politica profonda. E domani?

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Dopo i No francesi e olandesi e la sospensione del processo di ratifica della Costituzione in Gran Bretagna, il Consiglio europeo della settimana scorsa a Bruxelles ha confermato le previsioni più nere. Solo il Presidente del Consiglio italiano – peraltro chiaramente smentito dal suo più avvertito ministro degli esteri – ne è uscito sorridente dichiarando che l’UE ha tempo davanti a sà© per trovare una risposta ai gravi problemi irrisolti e che non è il caso di drammatizzare. La verità   è che l’esito del Consiglio europeo ci consegna un continente segnato da vere e proprie «faglie telluriche» che potrebbero innescare in Europa miscele esplosive di nazionalismi egoisti e populismi demagogici di cui le folle non ancora oceaniche di Pontida sono segnali inquietanti.

IL FALLIMENTO DEL NEGOZIATO FINANZIARIO

Più ancora che lo stallo del processo costituzionale, l’epicentro del terremoto è rappresentato dalla clamorosa rottura di solidarietà   di cui i Capi di stato e di governo hanno dato prova rivendicando ognuno l’irrinunciabilità   ai propri interessi e denunciando gli egoismi presenti negli interessi degli altri. Obiettivo del negoziato in corso da mesi – e per la prima volta a Venticinque – era quello di definire il «pacchetto di risorse» necessarie per far vivere le politiche e la coesione dell’Unione europea nel periodo 2007-2013. Le divergenze riguardavano sia l’entità   delle entrate che ciascun Paese doveva versare nel bilancio dell’Unione sia l’articolazione della spesa, con gli Stati membri decisi a mettere in cassa il meno possibile e a portare a casa il massimo e comunque non meno di quanto versato. Il che per un bilancio di solidarietà   è già   un criterio abbastanza singolare. Il tutto esasperato dal duello tra la Gran Bretagna che non voleva rinunciare al discutibile rimborso ottenuto all’inizio degli anni ’80 e Chirac intrattabile nel mantenere una spesa agricola non meno discutibile ma molto vantaggiosa per la Francia. E questo quando nell’Unione sono appena entrati dieci nuovi Paesi in condizioni non proprio floride e mentre altri due Paesi anche più malmessi – Romania e Bulgaria – sono attesi per il 1° gennaio 2007. Così gli egoismi nazionali sono tornati con rinnovata virulenza, proprio come auspicato da molti fautori del NO alla Costituzione che un primo risultato potranno vantare di avere ottenuto. Spiace per quei molti NO che , forse in buona fede, farneticavano di «più Europa e più Europa sociale».

UNA COSTITUZIONE IN COMA

Nà© migliori prospettive si annunciano per il Trattato costituzionale impallinato da Francia e Olanda e ibernato dalla Gran Bretagna. Sconcertati da questi eventi, i Capi di Stato e di Governo hanno finito per decidere una pausa di riflessione di un anno – che in realtà   durerà   fino all’estate del 2007, dopo le elezioni francesi – anche per il timore di indurre un «effetto domino» che avrebbe potuto provocare una cascata di NO con il risultato di affossare definitivamente un testo già   in cattiva salute. Nel frattempo si disegneranno scenari molteplici, la maggior parte fondati sul timore che la Costituzione sia entrata in un coma irreversibile. E così si immagineranno nuove Assemblee più o meno costituenti, trapianti di organi compatibili della Costituzione sul corpo un po’ malato del Trattato di Nizza, un ricorso a cooperazioni rafforzate su politiche settoriali, la prospettiva di un’Europa a più velocità   e via seguitando. Forse per ora è bene trovare la forza di vivere lo sconcerto dell’Europa, cercare di capire dove possono coagularsi nuove solidarietà   politiche dopo lo spettacolo non proprio edificante del negoziato finanziario e convincersi che probabilmente l’Europa del Trattato di Roma è morta e sepolta e che un’altra Unione è urgente inventare prima che sia troppo tardi. Magari rispedendo al mittente le due visioni dell’Unione che si sono contrapposte al Consiglio europeo: quella mercantile e competitiva di Blair (cui già   sono vicine Olanda e Italia e non lontani i probabili successori di Schroeder e Chirac) e quella invecchiata e protezionista della Francia (cui si affiancano per ora Germania e Spagna). La nuova Europa presa nel turbine della globalizzazione non puಠfarsi chiudere in un’alternativa che mette in pericolo la sua cultura dei diritti e la sua vocazione alla solidarietà  .

PROSPETTIVE INCERTE PER L’UNIONE

Poichà© la storia talvolta è crudele – magari anche perchà© grande è la stupidità   degli uomini che la fanno – il fallimento del Consiglio europeo di Bruxelles ha preceduto di poche ore l’incontro dei nostri massimi rappresentanti (o di quello che ne resta) con l’Amministrazione Bush, di pochi giorni l’inizio della Presidenza inglese dell’Unione e la Conferenza in Europa sull’Iraq. Il tutto alla vigilia del confronto che si annuncia duro sulla riforma dell’ONU e dei negoziati non proprio facili della competizione commerciale internazionale. Davanti a noi in Europa importanti elezioni politiche (Germania, Polonia, Italia e Francia) che aggiungono incertezza ad un comune disegno di rilancio dell’Unione e rischiano di allontanare le prospettive di allargamento dell’Unione ai Paesi balcanici e, ancor più, alla Turchia, destinata a stare pericolosamente in lista d’attesa a tempo indeterminato. Un’incertezza politica interna di non breve durata si aggiunge a rischi di instabilità   ai nostri immediati confini, mentre continua la guerra con l’Iraq, resta irrisolta la contesa israelo-palestinese e si annunciano difficili i rapporti con l’Iran. E questo per non parlare di quanto accade nei Paesi dell’ex-Unione sovietica, in particolare nella fascia Sud che guarda all’Europa per il suo approdo ad una democrazia compiuta. Insomma, sono sempre brutti i fallimenti, ma più brutti ancora sono quelli che colpiscono proprio nel momento sbagliato: proprio quando l’Europa aveva un ruolo da giocare e tante speranze a cui rispondere. Ma è di qui che bisognerà   ricominciare.

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