Il “sogno Europa” è stata la speranza di molti europei reduci dalle tragedie nel Novecento, rilanciata alla fine del secolo scorso con l’abbattimento del Muro di Berlino del 1989 e riapparsa in questo decennio, dopo la lotta alla pandemia, con la creazione di un debito comune per contrastare la crisi economica derivata e con la larga solidarietà all’Ucraina aggredita dalla Russia.
Oggi quel sogno, che contribuì a costruire la Comunità europea, poi diventata nel 1992 Unione Europea, sembra indebolirsi nelle nuove generazioni per difetto di memoria e a fronte di un contesto mondiale radicalmente cambiato in questi ultimi tempi, senza un chiaro orizzonte verso il quale muovere per garantire la pace a rischio e proteggere i diritti conquistati finora.
Recenti sondaggi, per quello che possono valere nel misurare l’umore variabile dei cittadini, raccontano di una forte caduta del “sogno europeo” , in varia misura, nei Paesi UE, mentre sembra crescere l’interesse di altre regioni del mondo verso questo straordinario progetto di “democrazia tra le nazioni” per l’integrazione economica e politica del continente, oggi forte di 27 Paesi e, tra non molto, di un’altra decina. Quanto basta per non liquidare come morto il “sogno europeo”, ma anche senza illudersi che possa sopravvivere se non alimentato da una nuova speranza.
In questo anno giubilare, declinato attorno al tema della speranza, sarà bene ci sia uno spazio anche per la speranza in una nuova Unione Europea di cui il mondo ha bisogno per i giacimenti di cultura che vi apporta e per la strenua difesa dello Stato di diritto in una stagione dove autocrati e finti democratici nel mondo – compreso in Europa – si applicano a demolirlo pezzo a pezzo, tanto nel quadro del diritto internazionale che in quello dello spazio nazionale.
La speranza, “ultima dea” per i latini e, per papa Francesco, “la più piccola delle virtù, ma la più forte” è stata un vettore costante nella società europea per alimentare un “progresso” agli occhi di molti inarrestabile, con le conseguenze che conosciamo, e ha rappresentato un tenace movimento carsico nel quale sono confluite culture diverse, all’origine della nostra faticosa convivenza democratica.
Oggi quel “vettore di speranza” deve riemergere con forza per dare un senso alla vita di persone segnate dall’inquietudine e dall’incertezza di questi tempi e per richiamare la politica, internazionale e nazionale, a fare il suo dovere nel perseguimento del bene comune, che non è sicuramente frutto delle guerre né compatibile con le crescenti diseguaglianze, all’origine di povertà e migrazioni.
Conforta che un sondaggio internazionale della settimana scorsa dell’ “European Council on Foreign Relations” abbia registrato un crescente livello di apprezzamento nei confronti dell’UE, per la sua capacità di influenza: è il caso del 62% delle persone sondate in India, del 60% in Sudafrica, del 58% in Brasile, ma anche del 44% in Cina e del 38% negli USA, dove l’arrivo di Trump potrebbe aprire gli occhi di molti sul ruolo che potrebbe avere l’Unione Europea.
Forse è venuto il momento che anche gli europei rafforzino la loro auto-stima in questo Vecchio continente che molto ha realizzato con l’Unione Europea, grazie anche ad uno sguardo che tenga conto del contesto generale e di come va il resto del mondo. Non è un caso se l’Europa resta un punto di approdo per molti che fuggono dalle guerre e dalla povertà.
Non è tuttavia un motivo per mettere a tacere la nostra inquietudine, memori delle parole di un grande scrittore francese, convertito al cattolicesimo, Julien Green: “E’ quando si è inquieti che si può stare tranquilli”, perché oggi la vera inquietudine è quella di vedere l’irresponsabile tranquillità di molti in Europa.