Siria: sedici mesi di lotta contro il regime e l’instabilità nella regione

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Dopo il colpo inferto dall’opposizione ai vertici della difesa il 18 luglio, ci si interroga per quanto tempo ancora Bachar el Assad e il suo regime potranno aggrapparsi al potere. La dichiarata situazione di guerra civile in Siria sembra in effetti ad una svolta dopo che l’Esercito siriano libero (ASL) ha dato segni di aver ritrovato forza, mezzi e strategia per combattere ed entrare fino a Damasco e ad Aleppo e controllare parte delle frontiere del Paese, tanto da far parlare ormai dei nodi cruciali del futuro periodo di transizione. Ed è appunto in previsione di questo incerto futuro che la situazione dell’intera regione diventa di giorno in giorno sempre più complessa.
Attentato anti israeliano in Bulgaria, attentati a catena in Irak che hanno causato più di 110 vittime, migliaia di profughi dalla Siria verso la Turchia, il Libano e la Giordania, incertezze e minacce sull’uso di armi chimiche detenute dalla Siria e per ora sotto lo stretto controllo del regime, risveglio e interventi kurdi a fianco dell’opposizione nel nord della Siria e un crescente nervosismo di Israele sull’insieme della situazione danno un quadro quanto mai inquietante della progressiva instabilità che si sta manifestando nella regione. Non solo, ma anche, da una parte gli appelli della Lega araba (Qatar, Arabia saudita, Sultanato d’Oman, Egitto, Sudan, Algeria, Irak e Kuwait) che chiede con forza le dimissioni e la partenza di Bachar el Assad e l’instaurazione di un Governo di transizione dell’opposizione e dall’altra il sostegno incondizionato al regime siriano di Russia, Cina, Iran e dell’Hezbollah, con al centro l’inevitabile debolezza della diplomazia ONU, il fallimento della missione di Kofi Annan e l’incerto impatto delle sanzioni UE e USA contro i sostenitori di Assad mentre, USA in particolare, spingono ora per una transizione veloce.
Difficile intrecciare in modo coerente tutti questi aspetti che gravitano intorno alla situazione in Siria e che determineranno i prossimi sviluppi per il momento ancora avvolti da grandi incertezze. Sta di fatto che di transizione ne ha parlato anche il Consiglio Nazionale Siriano (CNS), la principale forza d’opposizione all’esterno del Paese, precisando di essere pronto ad accettare di affidare le redini della transizione, una volta che Bachar el Assad se ne sia andato, anche ad una personalità del regime così come successe nello Yemen. Una dichiarazione che potrebbe avere risvolti di tensione fra l’opposizione interna ed esterna, soprattutto dopo sedici mesi di violenta repressione nel Paese che ha portato ad una guerra civile e a combattimenti tuttora in corso e a più di 20.000 vittime. Per memoria, il Presidente Saleh accettò di lasciare lo Yemen dopo aver firmato un accordo che prevedeva di consegnare il potere al Vice Presidente in cambio di un’immunità per sé e per la sua famiglia. Ma lo Yemen, ora in preda ad una grande instabilità politica e teatro di sanguinosi attentati da parte di Al-Qaeda, è forse un’altra storia.
I giorni che verranno saranno senz’altro decisivi per il futuro della Siria e di tutta la regione. Sembrano infatti aprirsi nuove prospettive e forse un barlume di soluzione, anche se ci vorrà molto tempo prima che cessino le violenze e la guerra e inizi un periodo, anche se difficile, di dialogo e di libertà, una libertà già pagata veramente ad un prezzo molto elevato.

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