Siria: fino a quando?

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È da marzo 2011 che il popolo siriano è impegnato in un lungo braccio di ferro per rovesciare il regime d Bachar al Assad e portare a termine la sua Rivoluzione. Più di 20 mesi di un conflitto iniziato pacificamente nelle strade e tramutatosi, col passare del tempo in una vera e propria guerra, con il suo numero ormai incalcolabile di vittime, di distruzioni, di esodi e di emergenze umanitarie, da Aleppo a Damasco. Non porta più con sé nemmeno l’appellativo di Primavera araba, tanto la situazione è degenerata in un crescendo sempre più incontrollabile di violenze, di combattimenti casa per casa, di improbabili vittorie o sconfitte delle parti, di avanzate e ritirate sul terreno con, infine, minacce sempre meno velate, da parte del regime, di ricorrere anche all’uso delle armi chimiche come ultima chance di vittoria.
Una macabra cronaca alla quale assistiamo da troppo tempo e che ci ha portato appunto a ridosso di quel limite rosso definito dalla comunità internazionale oltre il quale non sarà permesso al regime di Bachar di andare. In che modo e con quali mezzi, non si sa, vista la paralisi che ha caratterizzato in questi venti mesi la diplomazia internazionale.
Nessuna risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, con i veti di Russia e Cina, è stata infatti in grado di condannare il regime siriano, una terribile debolezza che ha incoraggiato Bachar el Assad ad andare avanti con determinazione nel tentativo di distruggere qualsiasi tipo di opposizione e di rimanere ad ogni costo, ciecamente e convulsamente, al potere.
Forse, un segnale di cambiamento, sul piano diplomatico, è venuto dalla recente e quarta Conferenza del 12 dicembre scorso a Marrakech del “Gruppo degli Amici del popolo siriano”, che oggi conta sull’adesione di 114 Paesi e di molte Organizzazioni internazionali. La Conferenza aveva come obiettivo di definire i contorni di un processo politico in grado di porre fine ai combattimenti in Siria. Un primo passo importante in tale direzione è stato fatto con il riconoscimento politico, da parte degli Stati partecipanti, UE e USA in testa, della “Coalizione nazionale delle forze della rivoluzione e dell’opposizione siriana”, costituitasi a novembre a Doha, in quanto legittima rappresentante del popolo siriano. Questa giovane Coalizione, con il riconoscimento di gran parte della comunità internazionale, porta quindi sulle spalle la gravosa responsabilità “di una transizione pacifica e di un nuovo avvio democratico e pluralista in Siria”.
Intanto la guerra e le violenze non si fermano. La NATO, dopo aver denunciato tiri di missili Scud (in grado di trasportare ogive chimiche) da parte di Damasco, caduti nelle vicinanze della frontiera con la Turchia, ha accolto la richiesta di quest’ultima di dispiegare batterie di Patriot in difesa. Una situazione pericolosa, non solo per la Siria, ma per l’intera regione, tanto pericolosa da far nascere qualche ripensamento anche alla Russia, finora inflessibile nel suo sostegno a Bachar al Assad.
Guardando al futuro e immaginando che la guerra cessi e inizi un periodo di transizione verso la democrazia e il pluralismo, non sono pochi gli interrogativi, a partire dalla complessità etnica e politica della Siria, fino alla presenza sempre più significativa di jihadisti fra i combattenti dell’opposizione.
Ma per ora è urgente sperare che la guerra finisca perché il prezzo pagato dal popolo siriano per la sua libertà è già troppo elevato.

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