Se il motore franco-tedesco è in panne nell’UE

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Tempi duri per il motore franco-tedesco nell’Unione Europea e, di conseguenza, tempi difficili per l’UE. Storicamente il protagonismo franco-tedesco si è manifestato nella costruzione comunitaria fin dalla sua nascita, con l’appello di Robert Schuman del maggio 1950 e la successiva creazione della prima Comunità europea, quella del carbone dell’acciaio (CECA), cui si associò fin da subito la Germania, a pochi anni dalla fine della guerra, insieme con l’Italia e i tre Paesi del Benelux.

Per tutti era un matrimonio di interessi, in particolare per i due Paesi sulle sponde opposte del Reno, in conflitto da sempre con costi molto alti per entrambi, che sarebbero stati spesi meglio per la ricostruzione dell’Europa in macerie, con beneficio per entrambe le due prime potenze economiche dell’Europa a Sei, seguite dall’Italia che sarebbe diventata la seconda economia manifatturiera dopo la Germania. 

Si era così formato un triangolo scaleno con i due lati lunghi diseguali, quello tedesco e quello francese, e uno più corto, quello italiano, ma sempre inserito nello spazio politico tra quelli che, fino all’ingresso del Regno Unito, sarebbero stati i tre Paesi più importanti dell’UE, ridiventati tali dopo la secessione britannica conclusasi nel 2020. Oggi questa geometria sta cambiando verso la forma di un poligono con lati tutti diseguali, dove si manifestano il lato spagnolo e quello polacco, come dimostrato dai portafogli proposti per la futura Commissione europea.

In questo poligono i lati tedesco e francese restano prevalenti, potrebbe allargarsi quello italiano, insidiato ormai da vicino, se non già superato da Spagna e Polonia, in un’Unione Europea sempre più frammentata e alla ricerca di una guida autorevole, che difficilmente può essere oggi la coppia franco-tedesca, politicamente indebolita dalle recenti consultazioni elettorali e da quelle in vista.

E’ il caso della Francia di Emmanuel Macron uscita malmenata dalle elezioni europee e solo in parziale ripresa dopo le successive elezioni politiche, con un governo in formazione che deve ancora dimostrare di durare e un Presidente “anitra zoppa” nell’UE.

Non va meglio per la Germania del Cancelliere tedesco Olaf Scholz, reduce da serie batoste elettorali nelle consultazioni regionali, come avvenuto tempo fa in Turingia e Sassonia, tallonato da vicino dall’estrema destra (30 a 29) nel voto di domenica a Brandeburgo e con una maggioranza nazionale sempre più fragile, non sicura di reggere fino alle elezioni politiche nell’autunno 2025.

Tutto questo avviene nel corso di una delicata transizione tra i vecchi e i nuovi vertici UE che dovranno al più presto mettere nero su bianco il nuovo programma di legislatura e affrontare nuove tensioni con i governi degli Stati membri, i veri “padroni del vapore”, ancora una volta sotto la pressione dei “falchi” del nord alla vigilia dell’entrata in vigore di un Patto di stabilità più orientato al rigore che alla crescita.

Si tratta di regole e orientamenti politici che male si sposano con le proposte contenute nel Rapporto Draghi sulla competitività, accolto con cortesia e reticenza dai campioni del rigore, Germania in testa, con la Francia favorevole anche perché in difficoltà finanziarie e l’Italia presente nella nuova Commissione con competenze depotenziate e più preoccupata di ottenere deroghe sulle nuove regole di bilancio e sulla scadenza del PNRR che non impegnata nel sostegno alle proposte di “Super-Mario”, personaggio che in Italia imbarazza più d’uno.  

Germania, Francia e Italia, tre attori importanti, ma ciascuno con debolezze che unite non fanno certo una forza e che non forniscono all’UE un baricentro politico su cui appoggiare il futuro programma di lavoro, che Ursula von der Leyen vorrà sicuramente ambizioso con il rischio di non riuscire ad onorarlo, come già avvenuto con il programma della legislatura appena conclusa.

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