Se dovessimo oggi descrivere un ulteriore e nuovo inferno su terra, punteremmo gli occhi sulla parte orientale della Repubblica Democratica del Congo (RDC), un grande Paese con più di cento milioni di abitanti nel cuore dell’Africa e in particolare in quella regione dei Grandi Laghi, del Nord Kivu.
Sono alcuni anni, e in particolare a partire dal 2022, che il Nord Kivu è teatro di violenze e massacri per mano, in particolare, di una milizia dal nome M23, nata, insieme ad altre, intorno al 2010, tutte fortemente ostili a Kinshasa e considerate gruppi ribelli e terroristi dal Governo congolese.
Malgrado i tentativi della diplomazia regionale africana di porre fine, o almeno di contenere, gli obiettivi della milizia M23, intenzionata ad espandersi e ad occupare con la forza la regione, il 27 gennaio scorso ha segnato la definitiva caduta della città di Goma, la capitale, nelle mani dei ribelli. Un ultimo atto di una lunga catena di conflitti con l’esercito congolese che ha coinvolto, ad oggi, centinaia di vittime civili e più di un milione di sfollati. Le immagini che ci giungono dalla regione parlano di vecchi e nuovi campi di rifugiati, di persone allo stremo e senza risorse, dall’acqua alle derrate alimentari. Una nuova catastrofe umanitaria che, troppo lontana dagli occhi della comunità internazionale, miete vittime al riparo dall’attualità mediatica.
E’ tuttavia una guerra che si colloca in un contesto regionale ben più complesso, dove uno degli attori principali a sostegno del Movimento M23 è il Ruanda, piccolo Paese senza sbocco sul mare e senza particolare interesse strategico, ancora traumatizzato dal terribile genocidio del 1994 e alla ricerca di espansione e rafforzamento territoriale. Il sostegno militare ed economico che Kigali, la capitale, offre al movimento ribelle è tuttavia sempre stato denunciato dall’ONU e dalle Organizzazioni regionali con una certa timidezza, proprio perché il Ruanda continua ad essere percepito essenzialmente come attore di una faticosa riconciliazione nazionale e non come aggressore di un Paese vicino e sovrano.
Va ricordato qui che il Nord Kivu è una delle regioni minerarie più ricche al mondo. Spicca in particolare la presenza di enormi giacimenti di coltan, stagno, tungsteno, oro, cobalto, tutti minerali essenziali allo sviluppo tecnologico globale e che fanno gola non solo agli attori locali, ma anche a potenze come la Cina, che sembra aver fatto del Nord Kivu “l’epicentro degli investimenti cinesi in Africa”. Si tratta di quei minerali definiti “di conflitto”, di cui il Congo e, in particolare la sua regione del Nord Kivu, è particolarmente ricco.
Con l’avanzare dei ribelli M23 e dopo le dichiarazioni dei loro responsabili militari di voler continuare verso sud l’occupazione della regione, le prospettive di una escalation regionale del conflitto diventavano sempre più probabili. E’ in questo contesto che i ribelli stessi, il 3 febbraio, hanno dichiarato unilateralmente un “cessate il fuoco” per motivi umanitari, anche se, dall’inizio del conflitto, purtroppo, molti sono stati i proclami di “cessate il fuoco” non rispettati. Unica prospettiva di dialogo e di pace sarà un prossimo incontro tra il Presidente congolese Felix Tshisekedi e quello ruandese Paul Kagame, con la speranza che la diplomazia possa far tacere le armi.