Quando in Francia la «caccia» la facevano agli italiani

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àˆ accaduto più di 100 anni fa, non lontano dalle nostre frontiere, con vittime perlopiù piemontesi: un episodio di ordinaria xenofobia, rimosso dalla memoria collettiva che è opportuno, con i tempi che corrono, fare riemergere nelle nostre coscienze e trarne qualche lezione. L’occasione ci è offerta da un libro appena uscito in Francia con il titolo «Il massacro degli italiani – Aigues-Mortes, 17 aout 1893» (G. Noiriel, Le massacre des Italiens, Fayard 2010), una cronaca puntigliosa e documentata di un grave episodio di razzismo e violenza di cui furono vittime decine di lavoratori stagionali italiani nelle saline della Provenza.
Lo ha scritto un autorevole storico francese dell’emigrazione che ha restituito alla nostra «distratta» memoria di europei il racconto di come andavano le cose nel nostro passato senza Unione Europea, stimolandoci a vegliare su come potrebbe ancora andare se tornassero le tentazioni nazionaliste e identitarie che qualcuno sta pericolosamente coltivando anche da noi.
Cominciamo dai fatti. Siamo in Provenza, nella zona della Camargue alla fine del XIX secolo: le condizioni di vita sono difficili per tutti, salvo per chi gode di privilegi e posizioni di rendita e sono aggravate da una congiuntura economica particolarmente pesante. Lo «Stato sociale» non esiste ancora, i sindacati si vanno appena formando, le tensioni internazionali sono pane quotidiano in Europa, la politica è quella litigiosa di sempre, la giustizia docile alle richieste del potere e la «libera stampa», non solo francese, molto sensibile agli interessi economici e politici.
àˆ in questo scenario che avviene il «massacro»: nel corso del duro lavoro di «forzati» nelle saline di Aigues-Mortes convivono come possono francesi residenti e senza fissa dimora e gli stagionali italiani, apprezzati per la loro capacità   di lavoro e detestati per la stessa ragione e per l’immagine di «traditori» pronti all’uso del coltello. Le risse sono all’ordine del giorno, ma il 16 agosto del 1893 le cose non si fermano lì e l’indomani esplode la tragedia. Ne è pretesto l’accusa agli italiani di cedere a condizioni di lavoro non accettabili, di rubare il pane ai francesi con tutto quello che segue sull’inquinamento della cultura francese e delle sue nobili radici. Alla fine si conteranno «ufficialmente» tra gli italiani 8 morti (metà   sono piemontesi), una quindicina di dispersi dei quali non si è più avuto notizia e decine di feriti più o meno gravi, tutti vittime dei colleghi francesi.
L’episodio – che l’autore del libro considera «il più grande progrom della storia francese contemporanea» – farà   i titoli di prima pagina dei giornali francesi e italiani, ma anche anglofoni, alimenterà   un’ondata di populismo nazionalista al di qua e al di là   delle Alpi fino a fomentare pericolose tensioni diplomatiche che metteranno in difficoltà   il governo Giolitti e aiuteranno il ritorno al potere di Crispi.
Interessante nella complessa vicenda il ruolo svolto dai vari attori: dagli eccessi di un’opinione pubblica accuratamente disinformata al sensazionalismo della stampa in cerca di lettori, dall’uso strumentale dell’episodio da parte di politici di ogni bordo fino ai discutibili interventi delle forze dell’ordine e alla manipolazione dei procedimenti giudiziari per assolvere i colpevoli e trovare a tutti i costi un capro espiatorio tra gli italiani. Come toccಠad una vittima, quel Giovanni Giordano che, appena uscito dal coma per le bastonate prese, si vide condannare da una giustizia sottomessa al potere politico che aveva bisogno di una merce di scambio con il governo italiano.
Tanti i capitoli interessanti di questa indagine storica, puntigliosa nell’utilizzazione delle fonti (e non è un caso che nel libro venga citato il nostro Nuto Revelli) e libera da pregiudizi nazionali, per poterne dare conto dettagliatamente. Ma già   i pochi riferimenti citati inducono a riflessioni per la stagione difficile che viviamo, con dinamiche simili e personaggi diversi ma nemmeno tanto. àˆ stato detto che «quando la storia si ripete, diventa una farsa», nel nostro caso sarebbe una tragedia. Benchà© consapevoli che la storia non si ripete tale e quale, le capita talvolta di balbettare e di tornare indietro: puಠaccadere quando si perde di vista l’interesse generale e i valori che lo sostengono, quando si diffonde l’illegalità  , quando potere centrale e autorità   locali giocano a scaricabarile e quando prendono forma pericolose complicità   tra i poteri: quello politico, quello giudiziario e quello dell’informazione. Sono allora riunite molte delle condizioni che preparano le tragedie di un popolo, distratto e rassegnato, quando non incolto e preda di mestatori che magari ricoprono anche importanti cariche politiche.
Non che non vi siano antidoti ad una simile deriva, anche perchà© l’esperienza di quegli anni bui ha messo in moto robusti anticorpi: lo «Stato sociale» ha previsto tutele per i più deboli, il movimento sindacale malgrado le sue difficoltà   e i suoi ritardi si è rafforzato nel tempo, la nostra Costituzione ha messo argini alla complicità   dei poteri, l’Europa si è venuta progressivamente consolidando e, nonostante le sue debolezze, episodi come quello francese sono almeno improbabili. Purtroppo non sono improbabili, come provano le cronache dei giorni scorsi in Calabria, in molti nostri territori dove qualcuno si diverte alla «caccia al nero» (in Provenza, allora, la chiamavano «la caccia all’orso» e gli orsi erano gli italiani) e lavora notte e giorno per indebolire le tutele sociali, erodere i principi costituzionali e incoraggiare l’illegalità  .
A tutti costoro – ma anche a tutti noi – l’invito a leggere il prezioso libro di Noirel: se fosse una difficoltà   il francese, si puಠsempre sperare in una traduzione italiana. Magari subito in calabrese e poi, senza perdere tempo, anche in piemontese, se potesse essere utile nelle nostre terre prima che sia troppo tardi.

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