Rosarno, Unione Europea, gennaio 2010

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Quanto avvenuto nei primi giorni di questo 2010 a Rosarno ha messo prepotentemente in luce un duplice fallimento: quello delle politiche italiane sull’immigrazione sotto tutti gli aspetti, sociale, culturale, economico e soprattutto di ordine pubblico; nonchà© quello di una politica europea ancora lontana dal poter influire concretamente su questioni fondamentali quali l’immigrazione, che restano di competenza dei governi nazionali e che invece, per la loro importanza nel determinare gli equilibri delle società   europee di oggi e soprattutto di domani, dovrebbero essere non solo vagamente coordinate ma invece concordate e dirette a livello comunitario. L’UE, infatti, non dovrebbe permettere che in alcune regioni europee migliaia di cittadini immigrati da Paesi terzi vivano in condizioni igienico-sanitarie disumane, siano ridotti in schiavitù e oggetto di gravi discriminazioni quando non di violenze razziste e xenofobe.
Si tratta di situazioni limite che non riguardano solo l’Italia, ma che qui si manifestano con maggiori diffusione e frequenza, mostrando quindi una situazione-Paese più che preoccupante. Oltre alle carenze e agli errori politico-amministrativi, e insieme a questi, si registra infatti in Italia una escalation di sentimenti xenofobi e razzisti segnalata in modo allarmante da tutti i principali studi (nazionali e internazionali) sul fenomeno e intensificatasi negli ultimi due anni.
L’Agenzia europea per i diritti fondamentali e, prima di essa, l’Osservatorio europeo su razzismo e xenofobia negli ultimi anni hanno sempre ammonito sulla pericolosità   delle strumentalizzazioni politico-mediatiche dell’immigrazione, diffuse nell’UE ma particolarmente gravi in Italia. Associare ripetutamente l’immigrazione alla criminalità  , estendere a intere comunità   etniche responsabilità   individuali, creare una sorta di diritto minore per i cittadini immigrati extracomunitari, non garantire loro fondamentali diritti di cittadinanza e continuare a considerare l’immigrazione semplicemente come un «problema di ordine pubblico», sono pratiche tanto frequenti in Italia che sono «passate» a livello di opinione pubblica, hanno cioè contribuito a creare un diffuso sentimento comune secondo cui l’immigrato non è un cittadino «alla pari». Deve cioè stare al suo posto, rispettare tutti i doveri di cittadinanza ma non goderne i diritti, puಠessere discriminato, sfruttato, cacciato, all’occorrenza insultato e maltrattato o addirittura preso a fucilate se non accetta più di subire tali soprusi e se, come avvenuto a Rosarno, la stagione di raccolta è praticamente finita e la manodopera da sfruttare non serve più.
In due anni in Italia si è così assistito alla xenofobia anti-rumena, a veri e propri pogrom contro i rom, a violenze diffuse messe in atto da singoli, gruppi di cittadini e in alcuni casi da membri delle forze dell’ordine ai danni di cittadini stranieri; fino alla strage di Castel Volturno (settembre 2008) e alle fucilate di Rosarno che hanno innescato situazioni di guerriglia urbana tra stranieri e autoctoni, difficilmente interpretabili come episodi spontanei perchà© avvenuti in territori controllati dalla criminalità   organizzata italiana. E questi sono solo i fatti più eclatanti, ma non meno grave è il diffondersi in modo capillare di una miriade di episodi di «ordinario razzismo», che si esprimono quotidianamente in tutto il Paese attraverso discriminazioni xenofobe in tutti gli ambiti della vita sociale.
Secondo il Rapporto annuale pubblicato nel dicembre scorso dall’European Network Against Racism (ENAR), ad esempio, in Italia il 65% dei lavoratori stagionali stranieri vive in baracche, il 10% in tende e solo il 20% in case in affitto. Sono lavoratori fondamentali per l’economia agricola soprattutto delle regioni del sud Italia, per la raccolta dei pomodori nel Foggiano, di mandarini e arance nella provincia di Reggio Calabria, delle primizie nel Casertano, delle olive nel Trapanese e delle patate nel Siracusano. Eppure nella maggior parte dei casi sono costretti a vivere in condizioni disumane, senza acqua, luce, cure mediche, assistiti solo dalle organizzazioni del volontariato; reclutati secondo logiche di caporalato, impiegati in nero e sfruttati con paghe che non superano i 25 euro a giornata. La loro prevalente condizione di clandestinità  , causata da norme che in Italia non agevolano affatto la regolarizzazione, li priva di qualsiasi diritto di cittadinanza e li relega in situazioni di vera e propria schiavitù, favorendo coloro che lucrano sul loro sfruttamento. Una situazione denunciata da anni dalle organizzazioni sociali e sindacali e da varie inchieste giornalistiche, quindi nota, ma per la quale non sono mai stati predisposti adeguati interventi dalle autorità   locali e nazionali.
Così, quando il ministro dell’Interno italiano parla di «troppa tolleranza» dovrebbe riferirsi a questa situazione e non all’immigrazione illegale, che è solo una comoda conseguenza. Perchà©, come denuncia l’ARCI, in alcune regioni italiane il vero «clandestino» è lo Stato, che ha abbandonato le comunità   locali al totale controllo delle mafie. «La legge «Bossi-Fini» e poi il «Pacchetto sicurezza», impedendo gli ingressi regolari, si stanno dimostrando i migliori alleati degli interessi della criminalità   organizzata, che controlla il traffico di esseri umani, dispone di una quantità   di manodopera in nero, senza tutele, costretta all’irregolarità   e dunque impossibilitata a denunciare gli aguzzini. Il governo fa finta di non vedere, non stanzia risorse per politiche di integrazione e intanto nell’Italia del G8 c’è chi vive in ghetti degradati, espropriato della sua dignità  » aggiungono i responsabili dell’ARCI. Secondo l’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI), invece, quanto accaduto a Rosarno «conferma il fallimento di una politica dell’immigrazione totalmente ideologica e che, non garantendo affatto in modo concreto la sicurezza personale degli italiani e degli stranieri e non contrastando il lavoro nero, sta invece accrescendo sempre di più il bacino della irregolarità   e sta fomentando in tutto il Paese un clima xenofobo, di guerra tra le fasce più povere o a rischio di povertà   e di esclusione della popolazione». La vera sicurezza, osserva l’ASGI, «sta anche nel far rispettare le leggi che esigono la tutela delle condizioni di lavoro contro ogni sfruttamento, impedire che i lavoratori dormano all’addiaccio, esigere che le Questure provvedano al rilascio e al rinnovo dei permessi di soggiorno entro i termini indicati dalla legge (20 giorni) e non dopo mesi e mesi di snervante attesa, tutelare i richiedenti asilo e gli asilanti con efficaci politiche di integrazione ed accoglienza che non si limitino ai soli primi giorni di permanenza in Italia».
Una situazione tanto evidente, quella italiana, da essere chiara a tutti coloro che vogliano vederlaà¢à¢â€š¬à‚¦ ma proprio tutti. Sabato 9 gennaio 2010 il quotidiano «il Giornale» titolava in prima pagina: «Ma questa voltaà¢à¢â€š¬à‚¦ hanno ragione i negri». Un titolo forte e provocatorio, come nella tradizione del quotidiano, intriso di brutale razzismo, ma che nel sommario pur velato di antimeridionalismo spiegava: «I clandestini non dovrebbero entrare in Italia. Ma una volta che sono qui, non li si puಠsfruttare in modo vergognoso e prendere a fucilate mentre fanno lavori che i nostri disoccupati disdegnano». E se a dirlo è un organo di informazione più volte accusato di strumentalizzare le questioni dell’immigrazione e di fomentare xenofobia e razzismoà¢à¢â€š¬à‚¦
Allora, mentre le istituzioni dell’UE riflettono su «come migliorare le politiche in materia d’integrazione» e sottolineano che «un’effettiva integrazione degli immigranti è un elemento fondamentale del nuovo programma quinquennale dell’UE» (parole del commissario europeo Jacques Barrot al Forum europeo sull’integrazione, svoltosi a Bruxelles nei giorni 12-13 novembre 2009), dovrebbero perಠrendersi conto che in alcune regioni europee il livello di interazione tra autoctoni e immigrati è simile a quello che si registrava alcuni decenni fa negli Stati meridionali degli USA tra bianchi e neri. Che in ampie aree di alcuni Stati membri dell’UE continuano a essere palesemente violati diritti umani fondamentali di migranti, rifugiati e richiedenti asilo. Che le discriminazioni ai danni di membri di minoranze etniche sono all’ordine del giorno e diffuse in tutta l’UE e che la crisi economico-sociale in corso non fa che aumentarle. Che alcuni governi europei, con quello italiano in prima fila insieme alla sua propaganda mediatica, continuano a perseguire una “cittadinanza minore” per gli immigrati stranieri, a considerare l’immigrazione semplicemente un problema di ordine pubblico e interpretano erroneamente la «lotta alla clandestinità  » auspicata dall’UE come «lotta ai clandestini».
Rispettare la sovranità   nazionale da parte dell’UE su alcune materie quali l’immigrazione non dovrebbe significare la tolleranza di simili situazioni, nà© tantomeno considerarle semplici problemi nazionali.

1 COMMENTO

  1. Complimenti, un articolo davvero ben fatto. Sono temi che a me, da antropologo, stanno particolarmente a cuore, soprattutto quando si parla di politiche comunitarie di immigrazione in termini culturali.

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