Soffiano nuovi e forti venti di protesta sull’Egitto da quando il Presidente Morsi, lo scorso 22 novembre, dopo l’annuncio di un decreto che introduceva emendamenti alla Dichiarazione costituzionale, ha cercato di allargare i suoi poteri, estendendoli anche all’ambito giudiziario. La decisione, immediatamente contestata dalla magistratura, ha riportato in piazza manifestanti e oppositori al nuovo Presidente, mettendo in evidenza la legittima preoccupazione di una deriva totalitaria e il pericolo di un ritorno a pratiche del vecchio regime. Gli emendamenti erano volti, in particolare, ad impedire qualsiasi ricorso legale contro le decisioni prese dal Presidente, conferendogli così poteri quasi illimitati “per proteggere il Paese e gli obiettivi della rivoluzione”. L’adozione degli emendamenti è intervenuta poco dopo che la Corte costituzionale aveva di nuovo lasciato intendere, a seguito dei ricorsi presentati dall’opposizione, la possibilità di dichiarare illegittima l’Assemblea costituente, composta in maggioranza dai Fratelli Musulmani e da altre formazioni islamiche e impegnata a definire il testo della nuova Costituzione. Ma la forte pressione dell’opposizione, alla fine, ha costretto Morsi ad annullare il decreto costituzionale.
Il Presidente Morsi, continua quindi a tenare di concentrare pericolosamente nelle sue mani sempre più poteri ; oltre al potere esecutivo, detiene anche, dopo lo scioglimento dell’Assemblea del popolo nel giugno scorso, il potere legislativo, compromettendo sempre più, in questo difficile periodo di transizione, il processo di democratizzazione e la ricerca di un equilibrio di poteri fra le Istituzioni che la Rivoluzione, nell’insieme delle sue forze, sembrava promettere.
Ora, dopo che Morsi è riuscito con un colpo di mano, ad evitare lo scioglimento dell’Assemblea Costituente, rimane in gioco l’adozione della Legge fondamentale. Votato a tutta velocità negli ultimi giorni di novembre senza la partecipazione dei liberali e dei cristiani copti (questi ultimi rappresentano il 10% della popolazione) il progetto di Costituzione è ora il punto di scontro principale fra l’opposizione e il Presidente. Giudicato ambiguo e conservatore, soprattutto per quanto riguarda la portata della sharia (legge islamica), l’equilibrio dei poteri istituzionali, l’esercizio dei diritti e delle libertà fondamentali e lo statuto della donna, il nuovo progetto di Costituzione dovrebbe essere sottoposto a referendum il 15 dicembre prossimo. Un esercizio che l’opposizione vuole evitare perché, molto semplicemente, non si riconosce in quella Costituzione.
Piazza Tahrir è di nuovo teatro di manifestazioni, ma questa volta ben diverse da quelle conosciute solo l’anno scorso, dove una popolazione e una società nel loro insieme avevano portato all’uscita di scena di Hosni Mubarak. Oggi, è questa stessa popolazione che si affronta in due campi distinti, mettendo a confronto due percezioni molto diverse del futuro del loro Paese. Sono manifestazioni violente, che oppongono i Fratelli musulmani e gli islamisti radicali ad un’altra parte della società egiziana, decisa a difendere la “sua rivoluzione” e a sbarrare il passo a tentativi di potere assoluto.
Morsi, sebbene stia tentando un dialogo con l’opposizione e stia rassicurando sul carattere temporaneo dei suoi poteri, ha in mano una situazione esplosiva. Saranno possibili prove di dialogo? C’è da augurarselo, perché solo il dialogo, il rispetto e la partecipazione di tutta la società alla costruzione del futuro del Paese saranno in grado di evitare la buia prospettiva di uno scontro civile.











