Pronto, Europa?

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I meno giovani di noi ricordano ancora una trasmissione televisiva dotata di un premio, attribuito con modalità singolari. L’utente telefonico, chiamato dalla RAI, vinceva il premio se allo squillo del telefono rispondeva “Europa, Europa”, e non “pronto” come si fa abitualmente. Era un modo originale per portare l’attenzione prima di tutto sull’Europa, di cui trattava quella trasmissione, stimolando i cittadini a rivedere antiche abitudini e ad avviare un dialogo al di là dei confini del proprio Paese.

Sono passati da allora molti anni, quella trasmissione fece il suo tempo e l’Europa, nonostante i molti passi fatti in avanti – dalla creazione dell’euro al grande allargamento nella svolta del millennio – non è la prima cosa che viene in mente ai suoi cittadini, salvo per addossarle spesso colpe non sue.

Eppure non è irrilevante che nel corso di poco più di sessant’anni, dopo secoli di guerre “civili” europee e milioni di morti, ventotto Paesi abbiano unito i loro destini e oltre mezzo miliardo di europei convivano oggi pacificamente. Per capirne l’importanza basterebbe percorrere piazze e cimiteri delle nostre terre e scorrere le liste infinite di militari e civili morti nelle due tragiche guerre mondiali del secolo scorso, a cominciare da quella iniziata in Europa nel 1914, che ci apprestiamo a ricordare e, speriamo, anche a trarne le evidenti lezioni. Senza dimenticare, in questa stagione di “democrazia fragile”, quanti nella Resistenza europea s’immolarono per contribuire al ritorno della libertà sul nostro continente.

Per quelli poi, più sensibili ai numeri dell’economia che non a quelli delle vittime, non dovrebbe sfuggire quanto grande sia stato dagli anni ’50 in poi lo sviluppo dell’Europa, impegnata a ricostruire un continente in macerie e a realizzare entro la fine del secolo un mercato unico, supportato da una moneta forte, consentendo “affari” che adesso i molti beneficiari – e non solo nel mondo della grande imprenditoria – tendono a dimenticare.

Purtroppo dimenticano spesso il molto cammino percorso anche da molti cittadini europei, quando ritengono scontata la sostanziale salvaguardia dei nostri sistemi di protezione sociale e il crescente benessere raggiunto fino alla vigilia della presente crisi, del quale qualcuno comincia ad accorgersi rimpiangendo quei risultati, certo non piovuti dal cielo.

Molte cose sono cambiate da allora: nel mondo si sono formati nuovi equilibri economici e politici, una finanza dissennata ha contribuito a mettere in ginocchio interi settori produttivi e fatto esplodere il mondo del lavoro, lasciando per strada milioni di persone e l’Europa stenta a ritrovare un ruolo e un’influenza che ormai appartiene al passato.

E tuttavia l’Europa resta pur sempre la prima economia mondiale, la nostra area euro esporta quasi il doppio di Cina o USA, il suo mezzo miliardo di cittadini può consentire grandi economie di scala sul mercato interno e la sua storia è davanti ai nostri occhi per ricordarci la ricchezza della sua tradizione culturale e il suo straordinario patrimonio artistico che può continuare a sedurre il resto del mondo.

Questa Europa è stanca ma ha grandi risorse per risollevarsi dalla sua fase depressiva.

Ma di che Europa stiamo parlando? Quella dei suoi litigiosi governi nazionali o quella delle sue Istituzioni comunitarie, che sembrano aver delegato alla Banca centrale europea il compito di guidare l’Europa fuori dalla crisi? La forza per risollevarsi l’Unione Europea la potrà trovare solo nei suoi cittadini, in quelli più anziani che ricordano da quali cattive acque li abbia tirati fuori e quelli più giovani che in cattive acque ci sono finiti perché troppo poca Europa si è presa cura di loro.

È venuto il momento di chiedersi – per parafrasare l’appello rivolto da John Kennedy agli USA – che cosa noi possiamo fare per l’Europa e non solo l’Europa per noi. E, allo squillo del telefono della storia in questa vigilia di elezioni europee, rispondere senza esitare: “Pronto, l’Europa siamo noi!”.

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