Per il mondo una nuova primavera?

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Per la politica internazionale, difficile che si ripresenti una settimana densa di avvenimenti come quella appena trascorsa. Per ricordare solo quelli più importanti: la riunione del G20 a Londra il 2 aprile, il primo incontro USA-Russia l’indomani, il Vertice dell’Alleanza atlantica (NATO) a Strasburgo il 4 aprile e i successivi incontri UE-USA a Praga, senza dimenticare gli incontri del nuovo presidente USA in Turchia.
L’esordio di Barak Obama, per la prima volta in Europa, ha comprensibilmente calamitato l’attenzione dei media, qualche volta anche a scapito dei rilevanti contenuti dei diversi confronti. Un buon contributo alla «distrazione di massa» lo hanno offerto, come al solito, molti dei nostri media, aiutati dalle discutibili prestazioni pubbliche del presidente del Consiglio italiano sulle quali quello che resta di amor patrio induce a stendere un pietoso velo.
Veniamo allora alle cose serie. All’ordine del giorno di tutti questi incontri al massimo livello niente di meno che l’avvio di una nuova configurazione politica ed economica del pianeta.
Al G20 di Londra, la storica concertazione tra i responsabili delle maggiori potenze del mondo per contrastare la crisi finanziaria e dare risposte credibili ed efficaci alla conseguente crisi economica e sociale che ne è rapidamente derivata. Era un confronto difficile, oltre che inedito: attorno al tavolo molti interessi divergenti se non conflittuali, ma anche la preoccupazione condivisa di un rischio di catastrofe economica, sociale e, a termine, politica.
àˆ questa preoccupazione che ha fatto premio, prevalendo sulle divergenze e i risultati, per una volta, hanno superato le attese. Ne sono prova gli impegni presi per «ripulire» il mondo della finanza, stanare le «frodi di Stato» dei paradisi fiscali, immettere massicce risorse per rilanciare l’economia mondiale e riprendere le redini di un sistema economico allo sbando. L’incontro non è stato una passeggiata, almeno per i leaders che avevano un ruolo da esercitare e grandi interessi da difendere.
Per semplificare, il confronto serrato ha visto protagonisti il nuovo presidente USA Barak Obama, quello cinese Hu Juntao e, per gli europei, i primo ministro inglese Gordon Brown, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy. Tema centrale: quale regolazione dei mercati per governare questo mondo instabile e produttore di crescenti disuguaglianze che ne mettono a rischio la pace. Per l’Unione europea è ancora presto per cantare vittoria, ma molti indizi convergenti dicono che ha prevalso, in qualche misura e almeno per ora, la visione europea di un’ «economia sociale di mercato», quel «modello renano» – oggi reinterpretato da Merkel e Sarkozy – che mira ad una regolazione dell’economia, sottraendola alle malefatte della «mano invisibile del mercato» in cui credeva, beato lui, Adam Smith e larga parte della cultura politica di oltre-Atlantico, con i risultati che si sono visti.
Tuttavia questo giudizio va temperato da almeno due ordini di considerazioni: da una parte, i reali rapporti di forza economica tra i contendenti dove l’UE non fa il peso – e sempre meno rischia di farlo – rispetto ad USA e Cina e, dall’altra, il rafforzamento del ruolo del Fondo Monetario Internazionale (FMI), destinatario nel G20 di Londra di risorse importanti (750 miliardi di dollari) per dare stabilità   finanziaria alle economie del pianeta. Ora è noto come il Fondo Monetario Internazionale abbia alle spalle un passato non proprio rispettoso delle condizioni sociali di molti Paesi, in particolare di quelli in difficoltà   di sviluppo e, a tutt’oggi, una dimensione democratica del tutto discutibile, ma che a questo punto si spera possa ravvedersi e riformarsi di conseguenza.
A Strasburgo, qualche ora dopo Londra, si è tenuto il Vertice della NATO, in occasione dei suoi ormai sessant’anni di vita. Da quella nascita, all’indomani della seconda guerra mondiale, molte cose sono cambiate, in particolare dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, la dissoluzione dell’URSS nel 1991, l’attentato alle torri gemelle di New York nel 2001 e l’allargamento dell’UE e della stessa NATO negli anni seguenti. Molte le cose da rivedere, dai rapporti con la Russia che non gradisce troppo la NATO alle sue frontiere fino alla lotta al terrorismo internazionale con il conflitto in Afghanistan, dalla delicata designazione del nuovo Segretario Generale della NATO, quel Rasmussen fieramente osteggiato dalla Turchia, fino al rientro della Francia nei comandi dell’Alleanza. Alla fine il consenso è stato unanime, fortemente ispirato ad una prospettiva di pace e alla prevalenza del dialogo politico rispetto alle soluzioni militari, anche se non sono mancate le divergenze tra USA e Paesi europei. àˆ stato il caso, in particolare, della prospettiva dell’ingresso della Turchia nell’UE, fortemente sollecitato da Obama e contrastato dalla Francia e dalla Germania e del rafforzamento della partecipazione europea in Afghanistan.
Da Londra e Strasburgo sembra comunque delinearsi un bilancio positivo, caratterizzato soprattutto da un ritorno forte della politica sulla finanza da una parte e sui venti di guerra dall’altra. Ne è stato il principale interprete il presidente Obama, lanciato con determinazione a salvaguardare, e in parte a recuperare, la leadership USA nel nuovo mondo multipolare dove si affacciano nuovi protagonisti, finora tenuti in disparte. Hanno fatto la loro parte anche alcuni leaders europei mentre continua a essere trascurabile il ruolo dell’Italia.
Ancora più inquietante la poca centralità   della questione sociale mentre ovunque, e in Europa in particolare, si diffondono rivolte più o meno spontanee e cresce il malessere nel mondo del lavoro.
A questo dovranno presto rispondere i Grandi dei G20 e di altri Vertici simili ed è bene che lo facciano prima che sia troppo tardi.
La primavera che sembra annunciarsi per il mondo ci sarà   veramente solo quando prenderà   fine l’inverno ancora lungo dell’economia e quando il lavoro tornerà   a essere la risorsa principale della nuova economia che verrà  .

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