Obama, tra futuro e futuro

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Il 4 giugno scorso, gli occhi del mondo erano puntati su Barak Obama, e sugli Stati Uniti, nell’attesa del discorso che avrebbe pronunciato all’Università   Al -Azhar del Cairo, nel cuore del mondo intellettuale sunnita.
In gioco una nuova visione non solo del mondo musulmano ma dell’insieme dei valori che dovrebbero sottendere le future relazioni nel mondo.
E di questo Obama ha parlato di fronte ad una platea gremita di giovani, che non ha esitato ad applaudire con fervore una nuova prospettiva di futuro.
I temi affrontati da Obama sono stati di indiscutibile importanza per la pace, per il dialogo fra i popoli e le culture, per la cooperazione economica e sociale, per la democrazia e per il rispetto dei diritti dell’uomo. Temi affrontati anche in netta rottura con il recente passato degli Stati Uniti e di scottante attualità   in un mondo che vive oggi una profonda tensione tra Occidente e Islam, tra laicità   e religione, tra identità   e terrorismo, tra sicurezza e minaccia nucleare, tra democrazia e dittatura, tra passato e futuro.
In una visione di ampio respiro e di lungo termine, Obama ha voluto prima di tutto affrontare il tema dei rapporti fra Islam e Occidente, ma partendo dalle radici storiche di questo rapporto, fatto non solo di guerre di religione e conflitti, ma anche di cooperazione e di coesistenza rispettosa e pacifica. I rapporti di oggi, segnati da una forte tensione e sfiducia, con il terrorismo come arma estrema per alcuni, devono essere riletti e capiti non solo nel loro più recente contesto storico, ma anche alla luce di una rapida modernizzazione che ha spinto i musulmani a considerare l’Occidente ostile alle loro legittime tradizioni islamiche.
Ripercorrere la storia e superare le barriere che irrigidiscono le differenze costituisce quindi, per Obama, il punto di partenza per riportare al dialogo e al rispetto reciproco Islam e Occidente, ma anche per affrontare concretamente i temi più sensibili della pace in Medio Oriente, dei nuovi rapporti con l’Iraq e l’Afghanistan e del dialogo con l’Iran.
La visione di Obama al riguardo irrompe con forza: la pace in Medio Oriente si fa rispondendo alla legittima aspirazione del popolo palestinese ad avere un proprio Stato, fermando l’avanzare dei coloni israeliani in Cisgiordania e rinunciando al controllo su Gaza, costruendo la sicurezza dei due Stati non sulla forza incontrollabile delle armi ma sul dialogo e la convivenza.
I rapporti con l’Afghanistan e, più di recente con il Pakistan, non potranno più essere visti soltanto come la minaccia di un estremismo islamico in evoluzione e da contrastare, ma soprattutto come occasione per una cooperazione economica e sociale in grado di offrire ai popoli islamici il respiro necessario per un dialogo di progresso, di partecipazione al futuro e di promozione dei diritti dell’uomo.
Il tema dell’Iraq ha offerto ad Obama l’occasione per ribadire l’inadeguatezza della risposta delle armi, la necessità   di costruire un consenso internazionale per affrontare le crisi con gli strumenti diplomatici e, soprattutto, per sottolineare che la democrazia non è un bene che si possa banalmente esportare e imporre ma è soprattutto l’espressione della volontà   e del cammino di un popolo.
E sempre mantenendo saldo il filo conduttore della sua visione del mondo, Obama ha affrontato anche l’aspetto dei rapporti con l’Iran: una valutazione del difficile percorso storico dei rapporti con gli Stati Uniti, la consapevolezza della pericolosità   odierna dell’arma nucleare, la necessità   di un coraggioso e solido dialogo sul futuro.
Il discorso di Obama ha aperto degli orizzonti insperati, ha indicato traguardi e obiettivi ambiziosi, ha comunicato una visione del mondo in cui il futuro dell’umanità   è strettamente legato alla responsabilità   di tutti, non ha esitato a parlare di un «nuovo inizio» che rompa decisamente con una visione che appariva sempre più obsoleta e inadeguata alle sfide in corso. Certo non si possono ignorare gli ostacoli che si opporranno ad una tale visione nella costruzione di politiche concrete. Alcuni hanno parlato di Obama come di un visionario. Rimane il fatto che questa visione ha avuto il pregio di essere esplicitata, di esistere, di interpellare tutti, a cominciare dagli Stati Uniti.
Come ha interpellato l’Europa, anch’essa nata da quella dichiarazione del 1950, per molti aspetti altrettanto visionaria. Ci sono voluti 60 anni per conseguire gli obiettivi di oggi e chissà   quanti anni ancora ci vorranno per costruire un’Europa all’altezza delle sfide che l’attendono. Così come non basteranno uno o due mandati presidenziali di Obama.
Ciಠche interpella e inquieta soprattutto per l’Europa, alla luce del discorso di Obama, à© la mancanza di una sua visione più ampia, à© la temuta prospettiva di non trovare nella congiuntura attuale la forza necessaria per raggiungere quegli ambiziosi e condivisibili obiettivi. Non e’ certo con un’Europa che oggi si divide, che si ripiega nella paura degli altri e dei diversi, che si lacera fra nazionalismi e campanilismi che si potrà   portare, sulla scena internazionale, un patrimonio di valori comuni di democrazia, di rispetto dei diritti dell’uomo, dello stato di diritto e, soprattutto, di pace.
Ma forse, anche per noi, è necessario ripartire, con forza e tenacia, da quel lontano e famoso «I have a dream», che ha generato Obama e la sua visione e che non poco potrebbe insegnare all’Europa.

1 COMMENTO

  1. Scrivi Lecce 4-6-‘09

    Il discorso del Presidente Obama al Cairo offre spunti di riflessioni molto interessanti.
    E’ un discorso rivolto al mondo musulmano, ma quale – ci potrebbe chiedere-? Quello delle elite Egiziane, Siriane ecc..ai governanti, ai popoli? Mentre è necessario riconoscere questo, è altrettanto importante evidenziare la griglia di lettura.
    La ricostruzione storica fatta da Obama a proposito del contributo specifico dell’Islam alla civiltà  è un dato di fatto. Si usano argomenti noti, tradizionali e forse un po’ superficiali, è importante, però, averlo detto dove l’ha detto, cioè di fronte ad una platea selezionata, ad un pubblico televisivo, in attesa di una parola chiarificatrice.
    Aver menzionato due istituzioni storicamente dotate d’influenza circa la formazione intellettuale del mondo islamico, è un riconoscimento da non sottovalutare.
    L’esperienza personale del Presidente Obama gioca un ruolo fondamentale nella sua esposizione.
    E’ intrigante il tono: amicale, esperenziale, che parte dalla vita, piuttosto che una fredda analisi. L’aver esaltato il ruolo degli americani musulmani nella costruzione identitaria statunitense, è senz’altro una significativa presa d’atto, basata su una interpretazione della cultura politica americana.
    Quanto detto finora si contraddice, in un certo qual modo, quando Obama “alza il tiro”: riconoscere la serie di problemi comuni che gravano sulla comunità  internazionale con un blando richiamo alla responsabilità  comune, è -nostro avviso- a dir poco, superficiale.
    Perché mettere sullo stesso piano la Bosnia ed il Darfur? Proprio al Cairo questo non avrebbe dovuto accadere! L’Egitto è uno strenuo alleato del Sudan in tutte le sedi internazionale. Perché passare sotto silenzio la situazione drammatica nella Repubblica Democratica del Congo, della Somalia e di altre aree di crisi?
    I punti sviluppati nel seguito del discorso sono di grande interesse, segnalano la volontà  del Presidente Obama di far uscire dalle secche dell’isolazionismo -“tentazione” sempre presente nella politica estera americana- gli USA. Isolazionismo e volontà  di potenza che nella precedente amministrazione hanno assunto toni drammatici: sottovalutazione delle Nazioni Unite, imposizione del ruolo imperiale degli USA sulla scena mondiale, centralità  dell’interventismo militare piuttosto che della politica.
    Le conseguenze sono ben note e sotto i nostri occhi.
    Il richiamo al processo democratico assume particolare interesse, rivolto com’è stato in un paese, l’Egitto ed in un’area geopolitica-il Medio Oriente- fortemente ostili ad una reale partecipazione democratica: il Presidente Moubarak, forse, non è stato molto contento all’udire questo richiamo!
    Il tema della libertà  religiosa -ricordiamo che annualmente il Dipartimento di Stato americano pubblica un Rapporto sulla situazione della libertà  religiosa nel mondo- è allusivo di una situazione a dir poco difficile. L’Egitto, i paesi Arabi in generale, non vi fanno bella figura.
    I diritti delle donne, una visione dello sviluppo socio-economico-politico-culturale sono i due temi finali del discorso.
    Circa il primo, vale la pena ricordare che l’Egitto presenta una situazione d’inserimento socio-culturale delle donne più rosea in confronto ad altri paesi della regione.
    A proposito della seconda, è un susseguirsi di possibilità  -future- che non tengono nel debito conto l’attuale momento di crisi globale, per giunta, quanto il Presidente Obama propone, è la classica visione liberista, del mercato, tipicamente rappresentata da un Inviato Speciale per le Scienze: alla faccia del multilateralismo! E l’UNESCO come si inserisce in tutto ciò? O si pensa che solo Bill Gate e suo moglie Melinda siano in grado di risolvere problematiche difficili come la salute ecc!?
    L’ultimo paragrafo di questa sezione è fin troppo inclusivo: soggetti sociali i più diversi, aggettivati come musulmani, sono invitati dal Presidente Obama , a costruire una impalcatura culturale, economica, politica come appiattita su quella americana. E va bene che la globalizzazione dei mercati ha causato la scissione tra politica e società , ma a noi sembra esagerato e forse del tutto improprio, pur “dipinto” in termini di partecipazione, rispetto, invocare una sempre più stretta collaborazione tra gli USA ed altre nazioni. Non è un caso, per esempio, che le Nazioni Unite non siano menzionate una sola volta: dimenticanza o cosa? Sembra quasi che l’edificio Nazioni Unite sia poco frequentato dagli americani che preferiscono accordi bilaterali tra attori statali o sovranazionali, del tipo di quello proposto con l’Organizzazione della Conferenza Islamica.
    La parte conclusiva del discorso presidenziale ricorda un sermone: ma non è stato il Presidente Obama stesso, nel corso del discorso, a richiamare quasi con urgenza, di prestare attenzione ai reali bisogni delle persone?
    Nella sua complessità  il Presidente Obama nel suo discorso ha si evidenziato un recente passato carico di tensioni e problemi che gettano la loro sinistra luce su un’oggi profondamente scosso da una crisi di cui non si vedono vie d’uscita, se non in chiave tecnocratica: il recente vertice di Londra del G20 è conferma di ciò.
    Abbiamo richiamato in precedenza il tono usato da Obama nel suo discorso: retorica e capacità  comunicativa sembrano essere ben coniugati dal Presidente. La sua personale esperienza gli ha permesso di andare oltre la politica. Mi spiego: finora i potenti, i gruppi di pressione, i militari hanno condotto il gioco, d’ora innanzi le regole sono diverse.
    Attenzione, però: il Presidente non ha messo assolutamente in discussione la centralità  americana circa la leadership mondiale. Figurativamente, dal solitario cowboy, forse si è passati- si sta passando- al dialogante globale, attento al linguaggio inclusivo, alle sensibilità  di vario tipo, ma fermamente basato in una cultura politica unilaterale, su una visione del mondo che non tiene conto delle dinamiche dal basso dell’odierna società  globale.
    E’ degno di attenzione che il Presidente Obama consideri superata l’ideologia dello scontro di civiltà , ponendo al centro dell’azione politica, la difesa della dignità  della persona: frutto della migliore tradizione politica americana e non solo.
    Obama ha corso il rischio di esplicitare di fronte ad una platea che subisce le conseguenze di una politica repressiva, di un religiosità  spesso non a passo con i tempi, una visione delle relazioni internazionali nuova, positivamente proiettata nel costruire una società  globale in cui la dignità  della persona assume un ruolo centrale.
    Se è così, è un passo avanti benvenuto. Forse quanto delineato dal Presidente Obama indica una svolta circa il ruolo che gli USA desiderano svolgere nell’arena internazionale.
    Tutto ciò è affascinante, impegnativo, una sfida enorme che richiama ancora una volta la necessità  della collaborazione tra i popoli piuttosto che il solitario cowboy finora imperante.

    Enrico Gonzales, comboniano

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