Nuove architetture e nuove regole per l’Unione Europea

239

Non basta per un edificio la manutenzione ordinaria, dopo qualche tempo anche una straordinaria si impone. Lo stesso accade per l’Unione Europea costruita oltre settant’anni fa e che adesso, dopo numerosi ampliamenti, è ora di riassestare, se non addirittura di ricostruire in alcune sue parti.
Quando l’UE nacque nel 1951, con il nome di Comunità europea sei erano gli Stati-condomini, oggi sono diventati ventisette e altri sono attesi nei prossimi anni. E anche nella casa europea le assemblee condominiali non sono mai una passeggiata e più numerosi sono i condomini più crescono tensioni e contenziosi, ancor più se i nuovi arrivati altre abitudini di vita e stentano a trovare un’intesa con chi nella casa ci abita da più tempo.
Già poco meno di cinquant’anni fa, nel 1973, l’arrivo del condomino britannico creò qualche problema, al punto che due anni fa ha preferito traslocare e tornare nella sua isola che, per la verità, non aveva mai abbandonato. Non meno problematico si sarebbe rivelato l’ingresso nell’Unione Europea, nel primo decennio di questo secolo, dei nuovi numerosi condomini in provenienza dai Paesi della dissolta Unione sovietica, dove avevano vissuto anni luce lontani dalla regole minime della democrazia al punto da sentirsi comprensibilmente un po’ spaesati nella loro nuova casa.
La prospettiva oggi di aprire le porte dell’UE all’Ucraina, mentre restano in anticamera da inizio secolo i Paesi balcanici, invita a prendere in considerazione non solo una manutenzione straordinaria dell’edificio diventato vetusto, ma anche a valutare l’urgenza di una sua profonda ristrutturazione.
È questa l’apertura fatta l’altro giorno a Strasburgo da un condomino importante della prima ora, la Francia, rappresentata nei prossimi cinque anni da Emmanuel Macron che non ha perso tempo, lo stesso giorno, per andarne a parlare con l’altro importante condomino, il Cancelliere tedesco Olaf Scholz, anche per rafforzare quel motore franco-tedesco che tanta parte ha avuto nella costruzione passata dell’edificio comunitario e tanta può ancora averne in futuro.
La proposta francese non è nuova, nuovo è il contesto in cui è presentata: quella della guerra in Europa, piombataci addosso dopo lunghi anni di pace che hanno contribuito ad addormentarci sugli allori e a non vedere quanto fosse diventata fragile e indifesa la nostra casa comune, minacciata da un vicino aggressivo come la Russia e tenuto sotto pressione dalla irruente crescita della Cina, con gli Stati Uniti preoccupati più di quanto potrà avvenire sulle sponde dell’Oceano Pacifico che non su quelle dell’Atlantico.
L’ipotesi sul tavolo è quello di creare un’ampia “comunità europea” allargata a tutti i Paesi che, rispettando le regole del mercato unico, vorranno farne parte, ma riservando la partecipazione a un nucleo tendenzialmente federale determinato a costruire con una progressiva “sovranità europea” un’Unione politica in grado di affrontare coesa sfide urgenti come una politica comune della difesa e della fiscalità, dotandosi di adeguati strumenti finanziari e dandosi nuove regole che mettano fine al ricatto del voto all’unanimità che impedisce di proseguire sulla strada dell’integrazione.
Resta da capire chi potrebbe fare parte di questa avanguardia, in attesa che chi oggi esita o dissente possa domani aggregarsi. La situazione politica attuale fa pensare che possano aderire a questa spinta in avanti i sei Paesi fondatori, tra cui l’Italia, e una parte dei Paesi che già hanno consentito una limitazione della loro sovranità nazionale associandosi in una moneta unica. Sul tavolo c’è già anche una lettera di tredici Paesi UE, prevalentemente ad est, che si ritengono soddisfatti dell’integrazione raggiunta e non chiedono di più.
In Italia si profila un orientamento favorevole per una maggiore integrazione in una parte della maggioranza, probabilmente non da parte della Lega, mentre resta incerta la posizione dei Cinque stelle. Questo spiega l’atteggiamento prudente del presidente Draghi, disponibile a riformare i Trattati e a modificare la regola dell’unanimità, mentre sembra più cauto sull’apertura in favore di un’Unione a più velocità.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here