Nessun segnale di svolta dal Consiglio Europeo

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Un segnale che viviamo in una democrazia fragile e poco praticata dai cittadini ci viene anche dalla scarsa o nulla attenzione che dedichiamo alle decisioni che vengono prese dalle autorità   ai vari livelli di governo, con una disattenzione crescente man mano che ci si allontana dal livello locale.
Accade così che ci interessiamo molto ad una delibera comunale sulla viabilità  , magari limitatamente a quella sotto casa nostra, poco a regolamentazioni regionali o nazionali, in particolare a quelle fiscali, e nulla a quelle europee.
Non stupisce quindi che passi praticamente inosservato quanto deciso nel Consiglio Europeo dei capi di Stato e di governo, riunito mediamente non più di tre volte all’anno. Decisioni troppo lontane, si dice e anche troppo complicate e poco trasparenti. Una mano non indifferente alla disattenzione al merito delle decisioni la danno anche i «media» che preferiscono indugiare su aspetti secondari quando non alle vicende personali e private dei cosiddetti leader, uno dei quali non resiste alla tentazione di prodursi in numeri da «nani e ballerini», che certo non contribuiscono alla credibilità   propria nà© a quella del Paese che rappresenta.
Così è stato anche per il Consiglio Europeo della settimana scorsa che pure aveva all’ordine del giorno temi di una qualche importanza e urgenza.
Intanto il quadro istituzionale dell’UE: da una parte il percorso verso la ratifica del nuovo Trattato di Lisbona impallinato dal referendum irlandese e da riproporre a consultazione popolare ad inizio autunno e dall’altra l’affidamento di responsabilità   importanti per la nuova legislatura che si apre con le recenti elezioni europee. La prima di queste designazioni riguardava la Commissione, istituzione decisiva per il processo di integrazione europea: come largamente previsto i capi di Stato e di governo «si sono accordati all’unanimità   sul nome di Barroso, considerato come la personalità   che contano designare come presidente della Commissione Europea per il periodo 2009-2014». E qui il cittadino normale, l’esemplare raro che si interessa all’argomento, si chiede: ma questo Barroso l’hanno nominato sì o no? E se sì, di chi si tratta tenuto conto che, salvo imprevisti, ce lo teniamo cinque anni? Domande legittime e semplici, come al solito con risposte complicate.
No, Barroso non è stato nà© nominato e nemmeno designato: prima bisogna sentire che cosa ne pensa il Parlamento Europeo che non gradisce eccessi decisionisti del Consiglio Europeo e ha più di un motivo per diffidare della personalità   di Barroso, dando così risposta alla seconda domanda su chi sia questo personaggio. Dicono in molti che si tratti di un «uomo per tutte le stagioni» non solo per il suo passato di uomo politico in Portogallo ma per quanto ha fatto o non ha fatto come presidente della Commissione nella legislatura scorsa, in particolare per la poca attenzione accordata ai problemi sociali degli europei e per il ritardo con cui è intervenuto nella vicenda della crisi finanziaria ed economica.
E proprio questo era il tema centrale del Consiglio Europeo, impegnato a definire le linee di un nuovo ordine finanziario anche in vista del G20 a settembre sotto la presidenza di Obama. Le conclusioni della presidenza non contengono il minimo cenno al tanto enfatizzato qui da noi G8 di luglio a l’Aquila. E anche questo non trascurabile dettaglio meriterebbe riflessione su quanto ormai conti l’Italia sulla scena internazionale.
Il Consiglio Europeo ancora una volta non è riuscito ad andare molto oltre l’invocazione di misure coordinate, mentre ogni Paese continua con le proprie politiche non esenti da derive protezionistiche e ad una Commissione, debole a misura del suo presidente, si chiede di presentare «proposte concrete sul modo in cui il sistema europeo di sorveglianza finanziaria potrebbe, in caso di crisi, svolgere un ruolo importante di coordinamento delle autorità   di sorveglianza, nel pieno rispetto della competenza delle autorità   nazionalià¢à¢â€š¬à‚¦» E la citazione potrebbe continuare ancora, ma a questo punto tutti avranno capito che un atteggiamento comune è ancora di là   da venire.
E su un tono analogo si continua nel capitolo seguente a proposito della crisi occupazionale, ricordando che «l’azione in questo campo è prima di tutto di competenza degli Stati membri» e che tutti insieme si debbono «salvaguardare e rafforzare la protezione sociale, la coesione sociale e i diritti dei lavoratori». Insomma, ognuno per sà© e Dio per tutti.
Non molto diverso l’approccio a proposito del cambiamento climatico e dello sviluppo sostenibile, anche se qui l’UE si fa più volontarista dichiarandosi «pronta a svolgere un ruolo motore in questo processo con l’impegno ambizioso e giuridicamente vincolante di ridurre le sue emissioni di gas a effetto serra del 20% entro il 2020 in rapporto ai livelli del 1990» (cioè, nel giro di trent’anni).
Infine, ultimo punto di sostanza, il Consiglio Europeo dedica un passaggio (per la precisione, 2 paragrafi sui 43 delle sue conclusioni) al tema dell’immigrazione clandestina, in riferimento alle recenti drammatiche vicende dei barconi nel Mediterraneo. Per proporre che cosa? Ancora una volta non molto di più di «un coordinamento di misure volontarie relative alla ripartizione interna dei beneficiari di una protezione internazionale».e del rituale invito a «rafforzare le operazioni di controllo alle frontiere».
Tutto questo e non molto di più nelle conclusioni del massimo organo politico dell’UE: come stupirsi allora se così poca attenzione viene accordata all’azione – meglio sarebbe dire: all’inazione – dell’Europa e se alle elezioni europee sono andati a votare quattro elettori su dieci?
Resta ancora molto da fare all’Europa per rendersi credibile e questo molto lo dovranno fare i suoi cittadini, dando la sveglia ai propri rappresentanti nelle diverse sedi istituzionali dell’UE.

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