Sarà ai suoi confini che l’Unione Europea si giocherà molto del suo futuro politico in questo 2015. Tanto a sud quanto a nord. A sud, sulle sponde del Mediterraneo, dove Italia e Francia aspettano non senza preoccupazioni l’esame di riparazione previsto a inizio primavera sui loro traballanti conti pubblici e dove la Grecia in gennaio e la Spagna a dicembre andranno a elezioni politiche che vedono per ora in vantaggio le nuove sinistre – l’ellenica Syriza e l’iberica Podemos – fortemente critiche verso Bruxelles.
Risalendo verso nord, completa il quadro degli appuntamenti elettorali quello, a maggio, del Regno Unito, dove la mina vagante dell’Ukip di Nigel Farage rischia di spolpare i conservatori di David Cameron, con qualche possibile beneficio per i laburisti. Il risultato elettorale potrebbe mettere in esecuzione la minaccia dell’annunciato referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’UE.
Ma con quello che è capitato – e non è ancora finito di capitare – in Ucraina e l’annessione russa della Crimea, con il corteo di sanzioni e contro – sanzioni tra UE e Russia in un clima di rinnovata “guerra fredda”, è opportuno puntare per una volta i riflettori a nord, sui tre Paesi baltici. Si tratta di una regione spesso dimenticata per la sua posizione periferica, per la sua presenza recente nell’UE dove è entrata nel 2004 e per la sua popolazione globale, che supera di poco i sei milioni di abitanti. Ma dimenticarla è un errore, vista la sua vicinanza all’orso russo, che l’ha occupata a lungo e che, di questi tempi, si mostra particolarmente nervoso alle sue frontiere.
Forse si spiega anche così, nonostante questa stagione di difficoltà della moneta unica, la decisione della Lituania di adottare l’euro a partire da questo 1° gennaio, dopo che già lo avevano fatto l’Estonia nel 2011 e la Lettonia l’anno scorso. Così, con la Slovacchia, i tre Paesi baltici guidano la pattuglia dei Paesi che, usciti dalla dissolta Unione Sovietica nel 1992, sono entrati nell’eurozona, dotandosi, con l’euro, di un ulteriore scudo per proteggersi dalla Russia.
Sarebbe interessante a questo punto sovrapporre la carta geografica dell’eurozona a quella dei Paesi europei aderenti all’Alleanza Atlantica (NATO). Dei 19 Paesi UE che hanno adottato l’euro, 14 fanno anche parte della NATO e non è difficile prevedere che gli assenti, tra i Paesi dell’Est, si incamminino nella stessa direzione per ragioni oggi economiche ma, in prospettiva, anche politiche e militari. Un cammino verso l’euro che sembra voler accelerare anche la Polonia, piuttosto restia a questo passo fino allo scoppio della crisi ucraina.
Dal 1° gennaio con la Lituania, 19° Paese dell’eurozona, occupa il davanti della scena un altro Paese baltico, la Lettonia, che ha assunto la presidenza semestrale dell’UE, succedendo all’Italia.
Non stupisce che la Lettonia, oltre a riprendere dalla presidenza italiana uscente alcune priorità – molte delle quali non sono arrivate a compimento, ma su questo sentiremo come la racconterà Matteo Renzi il 13 gennaio davanti al Parlamento europeo – abbia messo all’ordine del giorno il tema della sicurezza e della difesa, dopo le violazioni dello spazio aereo baltico da parte della Russia. Il Presidente lettone, Andris Berzins, l’ha detto con garbo ma chiaramente: “Gli sviluppi in Ucraina fanno riflettere su quanto abbiamo fatto e stiamo facendo per assicurarci che la UE sia protetta e sicura”. Un altro modo per invocare la costruzione per l’Europa di un’Unione politica, a salvaguardia della sicurezza e della pace per questo nostro tormentato continente.