In balia della tempesta finanziaria, alimentata dal debito e dalla mancata crescita, il Titanic Italia, com’era ampiamente prevedibile, è stato costretto dalle autorità europee a rimettersi rapidamente in linea di galleggiamento, alleggerendo la spesa pubblica e il portafoglio degli italiani.
Due operazioni inevitabili per qualunque governo al timone – sempre che ne resti uno che funzioni – di questa barca che fa acqua da tutte le parti, ma poco credibile se adottate da parte di una politica incapace di ridurre significativamente i propri costi e terrorizzata all’idea di perdere il ridotto consenso che le resta «mettendo le mani nelle tasche degli italiani», tanto era stato spergiurato che mai e poi mai si sarebbero aumentate le tasse, anzi.
E così, proprio mentre erano pronte le valigie per le vacanze, la politica ha dovuto malvolentieri fare gli straordinari per affrontare misure che avrebbe dovuto adottare da tempo se solo avesse fatto il proprio mestiere.
La manovra di metà agosto, sollecitata dalla Banca Centrale Europea (BCE), su spinta di Germania e Francia, rischia di mordere sul vivo il cittadino italiano non solo con un prelievo sui redditi più alti e l’eventuale aumento di un punto dell’IVA e dell’imposizione fiscale sulle rendite finanziarie e sulla casa, ma anche intervenendo sul sistema pensionistico (riforma dell’anzianità ) e quello assistenziale e sanitario, vittima designata di ulteriori e pesanti tagli. Per non dire delle annunciate riforme costituzionali, realizzabili in tempi troppo lunghi per essere rapidamente efficaci e molto discutibili quanto alla loro opportunità per il governo dell’economia.
Nell’attesa di capire che ne sarà di questa sconclusionata manovra alla fine dell’iter parlamentare, merita un commento il recente incontro Merkel-Sarkozy a Parigi per un confronto sulla crisi in corso e in vista di nuove misure di contrasto per il futuro. Molti osservatori l’hanno giudicato inconcludente con il rischio di occultare intese che, se dovessero maturare concretamente, potrebbero cambiare il volto dell’attuale Unione Europea.
àƒÆ’à¢â‚¬° tornato infatti – ed era francamente ora – il nodo irrisolto della governance economica dell’UE, non potendo la BCE esercitare più a lungo di tanto una supplenza ai limiti del consentito e nemmeno potendo assumersi la Germania il compito di pagare più di tanto i debiti dei Paesi considerati «lassisti» dall’opinione pubblica tedesca.
Si comincia dal «mini-direttorio» Germania-Francia e da un più forte coordinamento delle rispettive politiche fiscali ed economiche per indicare la strada agli altri Paesi dell’eurozona, chiamati a sottostare a una nuova disciplina di bilancio, iscrivendone le regole nelle proprie Costituzioni.
Quale sarà il ruolo effettivo delle Istituzioni europee all’ombra dei gendarmi franco-tedeschi non è ancora chiaro e l’affidamento provvisorio del controllo al mite Herman Van Rompuy non tranquillizza coloro che mirano ad un’Europa federale, seppure rivista nell’attuale stagione. Di positivo va registrato il ritorno della politica nell’ingovernata arena finanziaria, come testimonia anche l’intenzione – si vedrà quanto solida – di introdurre una tassa europea sulle transazioni finanziarie.
Tutte cose che si sarebbero dovuto fare da tempo e che da molte parti venivano proposte per un’UE equilibrata e non solo monetaria. Adesso l’Europa sembra guardare a quella strada, che potrebbe un giorno approdare anche allo strumento – oggi comprensibilmente prematuro – degli euro-bond, invocati da un Giulio Tremonti con l’acqua alla gola.
Ritorna quindi l’Europa, da alcuni (e persino Bossi, a giorni alterni e nei suoi ormai rari momenti di lucidità , è sembrato tra questi) salutata come nostra salvatrice e da altri ritenuta invasiva della sovranità nazionale o di quella finzione che così ci intestardiamo a chiamare.
Più banalmente, si è trattato di un’Europa assillata dai rischi corsi dall’euro e di due Paesi – Germania e Francia – preoccupati per la loro stabilità finanziaria visti tutti i titoli di Stato italiani che avevano in pancia, oltre a quelli greci, irlandesi, portoghesi e spagnoli. Non è stato un atto di generosità , ma piuttosto un precipitoso «si salvi chi pu಻, in particolare quando ci si vede rotolare addosso un debito pubblico, come quello italiano, pari a un quarto di quello di tutta l’eurozona.
E tuttavia si è trattato di un esercizio utile, che dovrebbe aver ricordato ai responsabili europei quanto – e molto – resta da realizzare per far funzionare un’Unione, dotata di una moneta unica ma priva di fisco e di governo comune dell’economia. Sono vent’anni, dai tempi del Trattato di Maastricht nel 1992, che l’Europa-tartaruga tarda ad attrezzarsi in questo senso, riversando adesso sulla BCE la responsabilità di condurci fuori dalla crisi, se necessario calpestandone disinvoltamente l’indipendenza come nel caso dell’intervento di Angela Merkel e di Nicolas Sarkozy di metà agosto.
Eppure «meno male che l’Europa c’è», si potrebbe dire parafrasando un ben altrimenti infelice slogan nazionale che ha accompagnato l’Italia dritta dritta al disastro presente.
L’Europa c’è e l’abbiamo sperimentato in nostro favore, adesso perಠsbrighiamoci a cambiarla, prima che sia troppo tardi e prima che la prossima tempesta se la porti via