In attesa che prendano forma, da una parte e dall’altra dell’Atlantico, le politiche sviluppate dopo il voto presidenziale americano, qualche orientamento già può venire dallo stato di salute delle due economie occidentali, in competizione tra loro e con le altre potenze mondiali, la Cina in particolare.
A prima vista verrebbe da dire che potrebbero non esserci nell’immediato grandi cambiamenti perché gli attori in campo dovranno valutare con attenzione, al di là dagli eccessi della propaganda elettorale, i loro rispettivi posizionamenti, a partire dalle relazioni attuali che vedono al centro della competizione economica e politica gli Stati Uniti e la Cina, senza dimenticare l’India, un gigante in grande progressione, previsti in crescita nel 2024 rispettivamente del 2,8%, del 4,8% e del 7,0%.
Tra USA e Cina sul versante del commercio la parola chiave sono i “dazi”, ai quali si dovrà preparare – comunque vada l’esito elettorale americano – anche l’Unione Europea, non nuova a queste pratiche protezioniste, come nel caso dell’alluminio europeo con la presidenza Biden. Ma è probabile che sia solo un antipasto, mentre cresce la tensione dell’UE con la Cina nella competizione delle rispettive industrie automobilistiche, con quella europea in grave crisi come risulta nettamente dalle vicende della Volkswagen in Germania e di Stellantis in Italia.
Se ci si concentra sulle due sponde dell’Atlantico, colpisce il differenziale del tasso di crescita del Prodotto interno lordo tra gli Usa, previsto nei giorni scorsi dal Fondo monetario internazionale (FMI), al 2,8% nel 2024 rispetto all’area euro, con una crescita attesa dello 0,8% per quest’anno, il tutto in presenza di una caduta della produzione industriale e di un un debole scambio di beni, temporaneamente compensato da robusti aumenti nello scambio dei servizi, grazie anche alla forte ripresa dei flussi turistici internazionali.
In questo quadro transatlantico i buoni numeri vantati dal governo italiano non sono privi di fragilità preoccupanti, come il peso del debito pubblico ormai vicino a 3000 miliardi di euro, la recente previsione in ribasso della crescita che in questo 2024 si fermerà allo 0,7% e gli ultimi dati dell’ISTAT sull’occupazione e sulla povertà, la prima in riduzione e la seconda in aumento. Nel primo caso si registra un’occupazione stabile al 6,1%, ma con un tasso di occupazione in calo al 62,1%, un indicatore tra i più bassi in Europa dove la media è del 75,4%, con le persone in cerca di lavoro che diminuiscono e gli inattivi che aumentano, mentre non si riduce la povertà, che continua a crescere anche tra quanti hanno un lavoro.
Molte altre variabili interverranno nelle future competizioni tra gli alleati sulle due sponde dell’Atlantico: tra queste il differenziale militare, con la spesa nel 2023 degli USA nel settore di 916 miliardi di dollari rispetto ai 312 miliardi di dollari dei 27 Paesi UE, con le inevitabile ricadute sulla guida della NATO e la precedibile pressione per l’aumento della spesa militare europea.
Mentre tutto questo accade, le Istituzioni europee – in particolare Commissione europea e Consiglio europeo – sono alle prese con una lunga transizione per il loro assestamento dopo le elezioni europee di giugno, concluso non prima di dicembre, mentre dall’altra parte dell’Atlantico – salvo sorprese da non escludere – il futuro potere presidenziale dovrebbe entrare in vigore due mesi dopo le elezioni, a inizio gennaio 2025.
L’Unione Europea già sa che non arriverà a quell’appuntamento in buone condizioni, né economiche e ancor meno politiche, viste le sue crescenti divisioni; per gli Stati Uniti sarà relativamente buona la situazione economica, ma precaria e ad alto rischio quella politica.
E varrà purtroppo per entrambe le sponde dell’Atlantico.