Le fratture dell’Occidente nello specchio dell’Indo-Pacifico

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Sta sollevando in Europa disorientati interrogativi la nuova alleanza che gli Stati Uniti stanno tessendo nella regione dell’Indo Pacifico, divenuta nel giro di pochi anni un centro di grande interesse geopolitico,  incrocio di ingenti rotte marittime commerciali e cuore pulsante dell’economia mondiale. Questa nuova e inaspettata alleanza si chiama AUKUS, un acronimo che identifica la cooperazione e il patto di sicurezza fra Australia, Regno Unito e Stati Uniti. Fa seguito all’istituzione del QUAD (Quadrilateral Security Dialogue), composto da USA, Australia, Giappone e India, un dialogo politico e strategico tornato in vita in questi ultimi tre anni. 

Appare quindi quanto  mai intensa l’attività e la mobilitazione, in particolare da parte degli Stati Uniti, per far fronte all’espansionismo cinese in generale e in particolare in quei mari della Cina meridionale in cui le tensioni fra Pechino e i principali attori regionali e globali continuano a crescere. 

Resta il fatto che questa nuova alleanza AUKUS è nata nella più grande riservatezza, senza informazione e consultazione, almeno per quanto riguarda Washington e Londra, con l’Europa e i partner della NATO, come se questi ultimi fossero inaffidabili rivali. Il tutto è venuto alla luce con l’annullamento da parte dell’Australia di un contratto da 65 miliardi di dollari con la Francia per la fornitura di sommergibili convenzionali e la firma di un nuovo contratto con gli Stati Uniti per la fornitura di sottomarini nucleari. Una decisione, da parte di Canberra, che ha provocato una decisa reazione diplomatica di Parigi e che interroga, al di là del danno subito dai francesi, su tutte le implicazioni politiche che tale decisione comporta. 

In primo luogo la constatazione che, in quella regione, entrerà in gioco, per decisione e complicità degli Stati Uniti una maggiore deterrenza nucleare nei confronti della Cina, cosa che potrebbe innescare un’ulteriore corsa agli armamenti e, inevitabilmente, un aumento delle tensioni nell’Indo-Pacifico e non solo. Cosa non da poco. 

In secondo luogo, non meno importante, il rapporto e l’alleanza fra Europa, NATO e Stati Uniti. Washington, sulla scia dell’”America first” e dei suoi interessi strategici, economici e finanziari ha ormai puntato con intenso interesse lo sguardo verso quella regione, dimenticando gli alleati o giudicando inutile un loro coinvolgimento o una loro consultazione. Cosa che sta prendendo dimensioni sempre più evidenti se si pensa al recente dramma del ritiro americano dall’Afghanistan, organizzato, dopo vent’anni, senza il parere degli alleati sul terreno. Non solo, ma AUXUS viene scoperto proprio nel momento in cui l’Unione Europea presentava la sua strategia nell’Indo-Pacifico, tassello di quel famoso “Global Gateway”, con il quale intende rafforzare la sua presenza politica, economica e militare in una regione che produce il 62% del PIL mondiale. Un vasto programma per la firma di accordi e di partenariati che vanno dall’ambiente al digitale, dalla sicurezza marittima alla connettività e che l’UE vorrebbe “aperto e inclusivo”.

Due le domande al riguardo: in che modo l’Unione Europea potrà costruire e rafforzare il suo ruolo sulla scena internazionale e in che modo potrà posizionarsi in questa situazione che corre sulla direttrice di rapporti conflittuali fra Stati Uniti e Cina? Inoltre, che ne è di quel grande progetto di Biden di consolidamento ed espansione della democrazia a livello globale che tanto aveva affascinato dopo la presidenza di Trump? 

Nella sua prima partecipazione all’Assemblea Generale dell’ONU, tempio del multilateralismo, Biden ha cercato di rassicurare sul partenariato con l’Europa. Resta tuttavia più importante che mai la riflessione sul futuro dell’autonomia strategica dell’Unione Europea. 

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