La linea rossa della pace

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I toni di guerra e di un imminente intervento militare in Siria che hanno echeggiato negli ultimi giorni si stanno affievolendo di fronte alle richieste, da parte dei principali leader coinvolti, di approvazioni parlamentari e ad una crescente esigenza di riflessione su alternative che conducano alla pace attraverso nuove iniziative politiche e diplomatiche.

Senza mettere in discussione la giusta condanna dell’uso di armi chimiche e di chi le avesse usate, il primo rifiuto all’uso della forza è arrivato dal Parlamento inglese, facendo fare al Primo Ministro Cameron un significativo quanto inedito passo indietro nei confronti dello storico alleato statunitense. Dal canto loro, gli Stati Uniti, in attesa delle prove che gli esperti ONU dovrebbero portare, oscillando fra la prudenza del Presidente Obama e la determinazione dimostrata dal Segretario di Stato Kerry a ridosso di quel fatidico 21 agosto, hanno condizionato ora il loro intervento militare ad un voto del Congresso, un voto che non interverrà prima della metà di settembre e il cui esito non è scontato. Anche la Francia, malgrado le determinate dichiarazioni del Presidente Hollande, sente il bisogno di riposizionare il suo impegno interventista alla luce di questi nuovi sviluppi e con l’esigenza di costruire, insieme agli Stati Uniti, una più larga adesione internazionale all’azione militare. Ma questa esigenza, tradotta in un dibattito preliminare e di informazione all’Assemblea, sottolinea l’isolamento politico verso il quale, in Europa, si sta dirigendo la Francia.

Sembra allargarsi quindi, sulla scena internazionale e al di fuori dalle mura dell’ONU, il fronte della prudenza e della ricerca di una via politica alla soluzione del conflitto in Siria. E questo non solo a causa dell’estrema complessità geopolitica che si è venuta a creare in Medio Oriente, in cui si incrociano infiniti interessi che vanno da quelli economici a quelli religiosi, e dove la guerra civile in Siria ha rafforzato, nel campo dei ribelli, il protagonismo e la presenza di forze legate ad Al Qaeda, ma anche perché diventa sempre più difficile immaginare che, in un tale contesto, un eventuale intervento militare possa condurre a qualcosa che non sia altro che una pericolosissima e inutile dimostrazione di forza. Con il rischio di dare fuoco a delle polveri in una regione in cui, accanto alla Siria, e non lontano da Israele, giocano in particolare Russia e Iran.

A soffiare sul vento della pace e contro l’intervento militare, oltre alla chiara posizione assunta dall’Italia, è intervenuto con fermezza anche Papa Francesco. Con parole forti, pronunciate in un momento così drammatico e in un discorso che poco aveva a che vedere con un discorso religioso, il Papa ha invitato tutti, laici e religiosi, a schierarsi dalla parte della pace e del dialogo. È stato un appello politico che ha chiamato tutti a “superare la cieca contrapposizione…”, e a percorrere con coraggio tutte quelle vie del dialogo e del confronto finora inesplorate.

Forse questa prova di forza e le minacce di guerra, se si fermeranno qui, potrebbero in effetti aprire degli spazi di negoziato in grado di mettere fine alla guerra in Siria. Ma per questo sarà necessario che tutti gli attori, regionali e internazionali, si siedano senza precondizioni al tavolo dei negoziati. Non sarà facile, ma è l’unica via percorribile.

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