La Bolkestein dopo il voto del Parlamento europeo

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Adesso che il Parlamento europeo ha espresso, in prima lettura, il suo voto sulla proposta di direttiva Bolkestein è venuto il momento di un primo bilancio su una vicenda ricca di molti risvolti. A cominciare dalle reazioni suscitate, talune del tutto non pertinenti o almeno tardive per finire con una valutazione degli emendamenti proposti e alcune considerazioni sulla traiettoria futura della direttiva.

La proposta di direttiva che, come è noto, mira a promuovere la libera circolazione dei servizi nell’UE ha sicuramente provocato reazioni tardive in chi aveva dimenticato che quell’obiettivo era iscritto già   nel Trattato di Roma del 1957, rilanciato negli anni ’80 con il completamento del mercato unico, ripreso con forza dal Consiglio europeo di Lisbona del 2000 prima di essere fatto proprio dalla Commissione Prodi nel 2004.

L’attenzione pubblica al tema esplode soltanto nel 2005, in particolare in un contesto del tutto non pertinente: quello del dibattito sulla Costituzione europea che anzi sull’argomento «servizi pubblici» conteneva qualche modesto progresso. In particolare, richiamando il ruolo dei servizi di interesse economico generale nella «promozione della coesione sociale e territoriale» (art. III.6) e prevedendo «limiti» alla concorrenza per non ostacolare «l’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata»(art.III.55). La prova dell’estraneità   della Bolkestein al dettato costituzionale è tanto nel fatto che questa si fonda sui Trattati precedenti quanto nella constatazione che il suo percorso proseguirà   con minori salvaguardie senza la Costituzione.

Ma poichà© non tutti i mali vengono per nuocere e aprire gli occhi è meglio tardi che mai, la Bolkestein è stata un test importante per misurare il gap crescente che si registra nell’UE tra l’integrazione dei mercati e la costruzione di un modello sociale, se non proprio armonizzato, almeno convergente. L’allarme lanciato dal sindacato e da movimenti progressisti ha contribuito a riportare il tema al centro dell’attenzione e, grazie a mobilitazioni anche insolite per un argomento di tale complessità  , ha spinto un vasto arco di forze politiche ad interventi vigorosi che hanno dato un primo importante frutto e tra questi la salvaguardia del diritto del lavoro. Il compromesso negoziato non senza fatica tra i due maggiori partiti del Parlamento europeo, il PPE e il PSE, potrebbe sminare, almeno in parte, gli articoli più distruttivi della direttiva. In particolare l’art. 16 dove l’abolizione del principio del Paese di origine riconsegna i servizi alle regole e ai controlli del Paese dove avviene la prestazione e, in parte minore, l’art. 2 con l’esclusione dai servizi esposti ai rischi della liberalizzazione di quelli relativi a poste, elettricità  , gas, acqua, sanità  , servizi sociali ma non di quelli relativi all’immobiliare, costruzioni, informatica, cultura, istruzione privata, ecc.

Il risultato del voto se da una parte ha rivitalizzato il ruolo del Parlamento di fronte ad una Commissione abulica e ad un Consiglio diviso, non ha perಠpotuto evitare all’interno del blocco PPE-PSE spaccature trasversali. Su punti importanti si sono registrate defezioni significative, ma anche adesioni da parte di forze politiche progressiste che avrebbero poi espresso un voto globale negativo sul risultato finale. Non meno problematiche le divisioni motivate dalla collocazione nazionale dei parlamentari, dove il malumore e la delusione in provenienza da est annuncia future tensioni anche in seno ai due partiti maggiori.

Alla fine, su tutto, si impone un’evidenza: questa Unione non puಠreggere a lungo senza un chiarimento sui suoi valori di riferimento e sui vincoli di regole comuni. Il compromesso è fragile, oltre che confuso (è facile prevedere il contenzioso che approderà   dinanzi alla Corte di Giustizia), proprio perchà© è il risultato di visioni diverse e talora incompatibili del progetto europeo e le ulteriori divergenze che si manifesteranno in seno al Consiglio dei Ministri ne saranno la riprova.

Perchà© adesso la strada continua in salita: che ne faranno i Governi nazionali della proposta modificata che la Commissione presenterà   sulla base degli emendamenti votati dal Parlamento europeo? A partire da maggio toccherà   al Consiglio cercare un compromesso da sottoporre al Parlamento in seconda lettura: difficile che le deliberazioni finali avvengano prima dell’autunno. Se alla fine la direttiva sarà   adottata se ne puಠprevedere l’entrata in vigore alla fine del decennio. Si preannunciano così ulteriori divergenze – per la verità  , senza grandi sorprese – tra i fautori dell’Europa mercato e quelli dell’Europa politica, senza la quale non ci sono grandi prospettive per l’Europa sociale ed una armonizzazione verso l’alto delle sue tutele. Una conta sommaria dà   i primi in forte maggioranza, i secondi ad oggi poco numerosi e soprattutto timidi se non contraddittori.

In proposito sarà   interessante anche vedere il comportamento del Governo italiano, qualunque sia il colore di quello chiamato a esprimersi in proposito: come si comporterà   un Paese fondatore, se ancora lo siamo, che ha ratificato tra i primi il Trattato costituzionale europeo dove si afferma che l’Unione « si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata, un’economia sociale di mercato fortemente competitiva che mira alla piena occupazione e al progresso sociale» e «promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà   tra gli Stati membri» (art.3àƒâ€šà‚§3)? Quale parentela tra la direttiva Bolkestein e questi impegni già   sottoscritti dal Parlamento italiano?

Ma, si dirà  , la Costituzione europea non è ancora ratificata. Appunto, questa è una delle molte buone ragioni per riprendere con forza il processo costituzionale.

2 COMMENTI

  1. Tra assordanti sirene, tamburi, coriandoli, striscioni, petardi e coriandoli, la coloratissima manifestazione della Confederazione Europea dei Sindacati si è snodata a Strasburgo il 14 febbraio, per chiedere profonde modifiche alla direttiva sulla libera circolazione dei servizi.
    Al povero Signor Fritz, Commissario Europeo che presentò il progetto di direttiva, saranno fischiate non poco le orecchie, perché lo slogan “Nein Nein Nein Bolkestein” è stato tra gli slogan più gettonati dai manifestanti di tutti i paesi.
    Vale la pena ricordare i punti più controversi della proposta, che, partita dall’esigenza di togliere vincoli e discriminazioni alla libera circolazione dei servizi, ha incontrato forti opposizioni non solo sindacali ma anche da parte di molte espressioni della società  civile.
    In particolare:

    – il campo di applicazione della direttiva: cosa si intende per servizi, dato che non esiste una definizione comunitaria di SIG ( Servizi di Interesse Generale) e SIEG (Servizi di interesse economico generale ) ?

    – il principio del paese di origine, pericoloso non tanto e solo perché esautora gli stati membri, ma perché con questo l’UE rinunciava di fatto a stabilire standard e criteri, pur minimi, sulla qualità  dell’ erogazione dei servizi

    – il diritto del lavoro e i rischi di dumping sociale introdotti, oltre che dal principio del paese di origine, anche dalla non chiarezza della prevalenza delle cosiddette “direttive settoriali” , in particolare quella relativa al distacco dei lavoratori.

    Il voto del parlamento europeo del 16 febbraio è un primo risultato che, a larga maggioranza, ha svuotato la proposta originaria sui punti sopraccitati. Occorre ora andare avanti e seguire l’iter della direttiva (votata, ricordiamo, in prima lettura) per evitare pericolosi passi indietro.
    Dunque, checché se ne dica, le manifestazioni servono ancora a qualcosa !!!

  2. Scusate la mia ingenuità , probabilmente questi punti verranno modificati dalla Commissione prima e dal Consiglio poi, ma a detta di quanto riportano i giornali il testo del Parlamento esclude definitivamente i SIEG (definiti dagli Stati membri) dal campo di applicazione, e in effetti questo principio è riscontrabile nell’emendamento 13. Però (c’è sempre un però, se no che compromesso sarebbe?)alcuni SIEG (come i servizi sociali) vengono esclusi esplicitamente dal camp di applicazione, altri no. (emendamenti 400 e lì intorno, vedi qui) Un esempio: l’educazione, i servizi culturali, i servizi postali, i servizi energetici e quelli di distribuzione dell’ACQUA (il che rappresenta un passo indietro persino rispetto al testo originale della direttiva!). Non a caso la stessa Gebhardt ha detto che quello dell’acqua è stato un “boccone amaro” da mandar giù. Non ci vuole molta fantasia per capire che la Corte di giustizia interpreterà  in maniera estensiva questo testo, una volta approvato, e che i SIEG non specificati verranno inclusi nel campo della direttiva. Che ne dite?

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