L’Italia e la «guerra» elettorale sulla pace

2272

Quello che doveva succedere è successo. O, almeno, ha cominciato a succedere: a forza di evitare il tema della politica estera nella campagna elettorale in corso e di non affrontare l’agenda-mondo, è stato il mondo in questi ultimi giorni a fare irruzione nel confronto politico italiano.
Meglio tardi che mai, meglio ancora se l’argomento fosse stato affrontato per iniziativa dei contendenti e con la razionalità   e la prudenza che un tema di questa delicatezza esigerebbe. Purtroppo è andata diversamente: invece di far perno sull’Europa per posizionarsi verso il resto del mondo, i nostri rappresentanti a Bruxelles hanno fatto il cammino inverso.
Franco Frattini ha lasciato precipitosamente il suo non irrilevante posto di vicepresidente della Commissione europea e una folta schiera di europarlamentari italiani (uno su quattro) si appresta a rientrare in Italia per cercarsi un posto al sole nel Parlamento italiano. Tenuto conto che altrettanti avevano già   lasciato Strasburgo dall’inizio di questa legislatura il conto è presto fatto: metà   dei nostri eletti in Europa ha fatto un salto al Parlamento europeo ed è già   rientrata a casa a curare gli interessi nostrani.
Quanto pesi in questo momento Bruxelles, non solo nella politica italiana ma anche nei cosiddetti «grandi media» di informazione, lo testimonia anche la scarsa eco data al Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo dei giorni scorsi, dove pure erano di estrema importanza i temi sollevati nell’attuale grave crisi economica internazionale.
Per chi non se ne fosse accorto, si è parlato dei picchi inquietanti che fanno segnare l’inflazione e l’euro da una parte e della minaccia di recessione dall’altra, dell’urgenza di ridurre radicalmente le fonti di inquinamento assumendone i costi non indifferenti e della necessità   di fare chiarezza sulla prospettiva di creazione di un’Unione per il Mediterraneo. Non proprio cosette da niente, ma insufficienti a interessare la competizione elettorale.
Su questo sfondo di colpevoli distrazioni, almeno una cosa buona è accaduta, se non nei modi almeno nella sostanza. Ne va dato merito all’ex-ministro della difesa del precedente governo, Martino che, non contento di averci invischiato nell’avventura irachena da cui ci ha portato fuori il governo Prodi, adesso torna a scaldarsi i muscoli con la prospettiva di riportare l’Italia in quell’orribile trappola dalla quale stanno cercando di venire fuori gli stessi americani. Per riequilibrare questo dubbio attivismo, Martino annuncia in compenso che l’Italia dovrà   ritirarsi dal Libano, cioè esattamente da una missione, quella sì di pace, avviata in accordo con l’Unione europea e l’ONU.
Al di là   della irresponsabilità   e sventatezza della proposta che ha persino imbarazzato lo stato maggiore del Popolo delle libertà  , noto per la disinvolta politica estera del passato, va segnalato il pericoloso ritorno di una visione che ci allontana dall’Europa e dalle intese multilaterali per tornare ad atteggiamenti di mortificante vassallaggio che tolgono all’Italia un qualunque ruolo internazionale.
Così Martino con un colpo solo ha svelato quanto indietro ci porterebbe una simile prospettiva politica: fuori da un doveroso e utile protagonismo del nostro Paese nell’area mediterranea, dove oltre a Palestina, Israele e Libano ci sono i Balcani e la Turchia, e lontani da quella ricerca di larghe intese che ha visto in questi ultimi anni un forte impegno dell’Italia in seno all’ONU.
E questo proprio in un momento in cui è urgente un ampio consenso internazionale per affrontare con un’iniziativa politica l’aggravamento della situazione in Afghanistan, promuovere un ampio dialogo con tutti i protagonisti del conflitto israelo-palestinese, comprendendovi a condizioni chiare anche i rappresentanti di Hamas, e cercare una soluzione condivisa alla permanente tensione tra Serbia e Kosovo.
Senza contare la determinazione e la prudenza di cui bisognerà   far prova con la democrazia calpestata in molte parti del mondo, come accade tra l’altro in Russia e in Cina. In questo grande Paese, decisivo per la futura economia-mondo, siamo alla vigilia dei Giochi olimpici e cominciano i primi moti di contestazione. Si è cominciato con il Tibet, ma è certo che non finirà   qui. E non basterà  , come ha fatto qualche leghista nostrano, strillare al boicottaggio e mobilitare la Padania che, com’è noto, è in grado di mettere alla Cina una paura da non immaginarsi.
Meglio cominciare da subito a cercare risposte condivise in seno all’Unione europea e, se possibile, nell’ambito delle Nazioni Unite. E non sarebbe male spiegarsi su tutto questo con gli elettori italiani, che sono anche cittadini del mondo e come tali vanno rispettati.

1 COMMENTO

  1. I due ultimi fondamentali articoli di Franco Chittolina fanno sempre più pensare al problema di chi siano gli italiani, che cosa pensino, quali “problemi” siano in grado di porsi visto che paiono assolutamente identici alla classe politica che esprimono e votano. Ci sono “in ballo” l’Italia, L’Europa, forse il mondo intero e alcune frasi elettorali, il cui livello dovrebbe far fuggire anche il più sprovveduto, hanno la capacità  di spostare dei voti.La recente visita di Sarcozy in GB non migliora il panorama della popolazione europea, è come se la gente invece di partecipare alla “vita” che è il bene dell’uomo, giocasse in un film costruito appositamente per non pensare, per lasciarsi trasportare da immagini che abbiano comunque una dinamica di intrigo e potere.
    Continuo a domandarmi perchè coloro che non la pensano così non riescano ad aggregarsi per comparire in qualche modo sulla scena!

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here