Alti sono i prezzi che si pagano alla guerra: quelli di migliaia di vittime militari e civili, la distruzione di intere città, il flusso di profughi obbligati a lasciare la loro casa dove non sanno se e quando ritorneranno.
Alti sono i costi economici per le attività bloccate, per la crisi energetica e per il prezzo pagato dai belligeranti, e dai loro partner, per le forniture di armamenti sempre più sofisticati, senza contare le ricadute per la distribuzione di generi alimentari di cui vengono private popolazioni che da questi dipendono. E la lista potrebbe ancora continuare.
Non va però tralasciato un capitolo particolarmente sensibile in questa lista: il prezzo politico che sta pagando l’Europa, alla ricerca di una soluzione al conflitto che al momento insiste in particolare sull’intervento militare e vede l’Unione Europea inoltrarsi in “terra incognita”, quella che i Trattati non hanno previsto e che adesso bisogna affrontare giorno dopo giorno. Come nel caso della collaborazione dell’Unione Europea con l’Alleanza Atlantica (NATO) della quale l’UE non è una componente, se non indirettamente per la partecipazione di molti suoi membri mentre altri, come Finlandia e Svezia, si apprestano ad aderirvi.
Nel linguaggio della politica internazionale questa collaborazione va sotto il titolo di “Dichiarazione congiunta UE-NATO”. La prima di queste dichiarazioni è del 2016, cui ne è seguita una seconda nel 2018 e, il 10 gennaio scorso, la terza in un crescendo di intensità che accompagna quanto avvenuto nel conflitto tra la Russia e l’Ucraina a partire dall’annessione della Crimea nel 2014.
La differenza è che questa terza “dichiarazione congiunta” interviene nel pieno di una guerra che da quasi un anno lambisce i confini dell’UE, coinvolgendola più direttamente nel conflitto e con un ruolo politico di gran lunga preponderante della NATO rispetto a quello che può esprimere l’UE.
Si tratta di una dichiarazione che merita quindi anche maggiore attenzione di quella prestata alle due dichiarazioni precedenti. Il contesto cui si richiama è quello della “più grave minaccia alla sicurezza euro-atlantica degli ultimi decenni” che ci pone di fronte a “un momento chiave per la sicurezza e la stabilità euro-atlantiche… e che richiede una più stretta cooperazione UE-NATO”. Questa cooperazione è andata crescendo negli ultimi anni, con “risultati tangibili – si legge nel comunicato – nella nostra lotta contro le minacce ibride ed informatiche e nella cooperazione operativa, in particolare sulle questioni marittime, la mobilità militare, le capacità di difesa, l’industria della difesa e la ricerca in materia di difesa, le esercitazioni, la lotta al terrorismo”. E’ venuto adesso il momento di andare oltre e le due parti lo dicono chiaramente: “Firmando la presente dichiarazione indichiamo la nostra volontà di sviluppare ulteriormente il partenariato NATO-UE in stretta consultazione e cooperazione con tutti gli alleati della NATO e gli Stati membri dell’UE, in uno spirito di piena apertura reciproca e nel rispetto dell’autonomia decisionale delle nostre rispettive organizzazioni, senza compromettere il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di ciascuno dei nostri membri”.
La citazione è un po’ lunga ma ha il pregio di svelare il precario equilibrio della cooperazione tra una NATO, a prevalente trazione statunitense, e i Paesi UE privati di una politica di sicurezza e difesa comune e con l’UE, in quanto tale, senza titolo per rappresentarli efficacemente in un confronto che la vede largamente dipendente dall’alleato americano che non esiterà a far valere i rapporti di forza.