Il postino suona due volte

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La prima lettera – e che lettera! – era arrivata il 5 agosto scorso. L’aveva inviata al governo italiano la Banca Centrale Europea (BCE), l’aveva firmata l’allora presidente Trichet, ma a suggerirla erano stati più di uno. Bossi, senza mezzi termini, disse che era stata una «fucilata» di Draghi, in procinto di occupare la presidenza della BCE. Più verosimile che i contenuti traducessero le preoccupazioni della cancelliera Merkel, incalzata dal suo Parlamento e dalla sua Corte costituzionale. Più nell’ombra anche Sarkozy, consapevole dello stato precario delle sue finanze pubbliche e dell’esposizione delle sue banche verso la Grecia e terrorizzato che il contagio passasse all’Italia e, subito dopo, alla Francia.
Nella lettera la BCE – che intanto stava tenendo a galla l’Italia comprandole generosamente titoli pubblici – chiedeva al governo di anticipare il risanamento delle finanze italiane e di farlo con misure concrete su uno spettro ampio di materie.
Ci sono voluti oltre due mesi al governo italiano per mettere insieme una risposta, con quella «lettera di intenti», confusa e nebulosa, che il presidente del Consiglio ha portato a Bruxelles per la riunione con i vertici dell’UE e del Fondo Monetario Internazionale (FMI) la settimana scorsa. La risposta è stata una poco convinta presa d’atto e la decisione di mettere l’Italia sotto una stretta sorveglianza delle Istituzioni Comunitarie (Commissione Europea e BCE) e del FMI. Intanto la speculazione finanziaria continuava a saccheggiare l’Italia e gli interessi a carico del debito pubblico italiano rasentavano la soglia che già   era stata fatale a Grecia e Portogallo.
Nel frattempo, a Roma, tornava di attualità   Tito Livio con il suo «mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnato»: gli «intenti» del governo italiano si arenavano nella palude di una maggioranza in disfacimento, da mesi «intenta» a rinviare le promesse misure per la crescita.
E così una seconda lettera, inattesa e preoccupata, è arrivata da Bruxelles, a firma dal Commissario UE per gli Affari Economici, il finlandese Olli Rehn, per chiedere conto all’Italia di che cosa stesse avvenendo con la «lettera di intenti», a che punto fosse l’adozione delle misure promesse e, suggerendo – ma in realtà   si tratta di una richiesta incalzante – una manovra aggiuntiva se si vogliono mantenere gli impegni presi dall’Italia per il risanamento dei suoi conti pubblici in tempo utile, prima di finire in una bancarotta di sapore greco.
La seconda lettera di Bruxelles contiene una lunga lista di 39 domande che, in uno stile cortese ma fermo, interpella il governo italiano sulle sue inadempienze a proposito di materie che vanno dalla sostenibilità   delle finanze pubbliche alla misure in favore dell’imprenditoria e dell’innovazione, dalla modernizzazione della pubblica amministrazione e la giustizia alle infrastrutture e costruzioni fino alle previste riforme costituzionali.
Chi avesse ancora dubbi su che cosa significhi il «commissariamento» dell’Italia puಠconsiderarsi servito e lo capirà   ancora meglio in questi giorni in cui a Roma sono piombati i «controllori» inviati dalla Commissione Europea, dalla BCE e del FMI. Spulceranno i conti dell’Italia e cercheranno di capire che cosa si prepara per questo Paese con un governo dimissionario che cerca di guadagnare altro tempo per tenere a galla l’attuale maggioranza. Non saranno rassicurati dalla prospettiva di elezioni anticipate: a tempo ormai scaduto per l’Italia e la sua sopravvivenza finanziaria, una campagna elettorale di qui a gennaio mette i brividi a Bruxelles e non solo.
Toccherà   adesso al Presidente della Repubblica, garante della coesione dell’Italia e convinto sostenitore della coesione europea, trovare la strada per salvarci dal baratro. Lo ha fatto con grande saggezza fino ad ora, abbiamo motivo per credere che continuerà   a farlo.
L’Italia e l’Europa ne hanno drammaticamente bisogno.

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