Guardare fuori d’Europa

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La politica italiana di questi ultimi tempi, con i suoi sussulti e la nuova aria che sembra circolare, ha calamitato giustamente la nostra attenzione, facendoci perಠperdere di vista quello che andava succedendo ai nostri confini e ai confini d’Europa.
Se abbiamo guardato con interesse e preoccupazione alle rivoluzioni sui bordi del Mediterraneo – Siria compresa, anche se non ancora con l’attenzione dovuta – lo abbiamo fatto più per l’impatto che avevano o potevano avere per il nostro Paese crescenti flussi migratori, con il rischio che l’albero ci nascondesse la foresta. Perchà© una foresta estesa sta andando a fuoco sui bordi del Mediterraneo, quella di regimi che parevano eterni e che invece il vento della democrazia sta mettendo a soqquadro con esiti ancora incerti, come nel caso dell’Egitto, della Libia e della Siria.
E mentre tutto questo accadeva e accade, l’Unione Europea ha registrato novità   importanti ai suoi confini più immediati: in Serbia è stato catturato il criminale di guerra Ratko Mladic, aprendo così la strada al processo di adesione di quel Paese, la Croazia ha ricevuto semaforo verde per accelerare il suo ingresso nell’UE e la Turchia è andata a un voto il cui esito non sarà   privo di conseguenze per il difficile negoziato in corso con Bruxelles.
Le prospettive di nuovi allargamenti dell’UE cominciano così a chiarirsi.
Cominciando dal fondo della lista, i potenziali candidati all’adesione, troviamo Serbia, Bosnia-Erzegovina, Albania e Kosovo; sono già   stati riconosciuti come Paesi candidati Macedonia e Montenegro, proseguono i negoziati con la Turchia e l’Islanda, mentre sono conclusi quelli con la Croazia.
Quest’ultima ha superato il suo ultimo esame da parte della Commissione Europea, anche se con qualche riserva sul perdurare della corruzione e dovrebbe essere promossa nel prossimo Consiglio Europeo di fine giugno. Salvo imprevisti, la Croazia dovrebbe così diventare il ventottesimo Stato membro dell’UE nel luglio 2013, ma solo dopo aver superato un referendum che registri l’accordo degli elettori croati: oggi sono favorevoli all’ingresso nell’UE poco più del 44%.
Il clima attorno a questo ingresso non è del tutto sereno: sono perplessi Germania e Francia che temono flussi migratori problematici come nel caso della Romania, sono tiepidi gli stessi croati consapevoli di entrare nel club dei «ricchi in difficoltà  » con rischi per la moneta unica, dove crescono i partiti di destra xenofobi. Lo spiega bene la scrittrice croata Slavenka Drakulic: «In 20 dei 27 Paesi dell’UE c’è almeno un partito della destra estrema, quando non apertamente xenofoba, in Parlamento. Certo, c’è la crisi economica, la disoccupazione, Paesi che rischiano di essere cacciati dall’euro, ma se va avanti così non sono i Balcani che entrano in Europa, ma l’Europa nei Balcani»
.Senza sottovalutare l’importanza, economica e politica, di questo ingresso fortemente sostenuto dall’Italia – come in genere quello degli altri Paesi balcanici ai nostri confini orientali – il vero problema a tutt’oggi irrisolto resta quello della Turchia.
Una storia che si sta trascinando da troppo tempo per non logorare i rapporti tra il Paese «porta dell’Oriente» e una timorosa e incerta Unione Europea che da anni manda messaggi di apertura contraddicendosi subito dopo sotto la pressione di Paesi contrari, come la Francia e la Germania. Non che non vi siano buone ragioni per volerci vedere chiaro prima di chiudere i negoziati: se è vero che la Turchia si presenta come un Paese a dominante islamica laica, la sua democrazia resta perಠfragile come hanno dimostrato le recenti vicende elettorali, è lontano da una soluzione il problema della minoranza curda, la libertà   di stampa non è proprio immune da censure e pressioni e la stessa laicità   sembra in perdita di consenso, al punto da far dire a qualcuno che Recep Tayyip Erdogan, il premier uscito vittorioso dalle elezioni di del 12 giugno e tentato da una repubblica presidenziale alla francese, sogna un «ottomanesimo di ritorno».
Giudizio probabilmente esagerato ma che, associato alla caduta di consenso dei cittadini turchi verso l’ingresso nell’UE, dovrebbe far riflettere gli europei sui rischi crescenti di un’occasione perduta. Perchà© tale sarebbe quella di vedere allontanarsi dall’Europa una Turchia in forte sviluppo economico, con una rara stabilità   politica nella regione e una apprezzabile politica estera come hanno dimostrato i suoi rapporti in uno scacchiere difficile: dall’atteggiamento nel conflitto libico, alle capacità   di accoglienza umanitaria con i profughi dalla Siria (una bella lezione anche per l’Italia), fino alla fermezza dimostrata con Israele.
L’Europa forse è ancora in tempo per evitare di perdere un partner prezioso: meglio che ci pensi prima che sia troppo tardi.

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