G8: i sorrisi dei grandi non bastano a salvare il pianeta

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Circola negli ambienti della politica internazionale (ma con i tempi che corrono varrebbe anche per la politica interna) una vecchia battuta secondo la quale “una conferenza è una riunione di persone importanti che singolarmente non possono fare nulla ma assieme possono decidere che non si puಠfare nulla”. àˆ un po’ quello che viene in mente a proposito del G8, la conferenza che riunisce periodicamente i Grandi di questo mondo e che da anni si sta trascinando tra promesse, rinvii e inviti ad altri Grandi (come Cina, India e Brasile) che intanto crescono e diventano più grandi dei “grandi” che, bontà   loro, li invitano nel ristretto club dei ricchi. Il tutto accompagnato da legittime e comprensibili manifestazioni di protesta e da deprecabili e stupide piazzate di violenti.
L’ultimo appuntamento è stato la settimana scorsa ad Heiligendamm in Germania con la Cancelliera Angela Merkel a fare gli onori di casa e a cercare con tenacia di regolare almeno qualcuno dei grandi contenziosi sul tavolo: dalla riduzione dei gas ad effetto serra alla disputa sulle installazioni missilistiche USA in Polonia e nella Repubblica ceca fino alla vicenda dell’indipendenza del Kosovo e alla lotta alle malattie in Africa. Attorno al tavolo leaders in partenza scaglionata (prima Blair, poi Bush e Putin), un nuovo leader fresco di nomina come il francese Sarkozy e capi di governo saldamente in sella come la Merkel e un po’ traballanti come Prodi: una compagnia tutta sorrisi e strette di mano, ma ciascuno con i pensieri rivolti alle grane di casa propria e molto meno ai problemi, pure enormi, del mondo.
A cominciare da Bush che a casa sua deve fare i conti con un partito repubblicano in difficoltà   alla vigilia delle elezioni presidenziali e si finge ambientalista per contrastare i democratici salvo ridiventare avversario del protocollo di Kyoto non appena attraversato l’Atlantico, pronto in cambio a dare lezioni di democrazia a Putin che, se è vero che simili richiami se li merita tutti, ha buon gioco a chiedere al mondo da che pulpito viene la predica.
Lo stesso Putin, nostalgico dell’impero che fu il suo grande Paese, che dice “niet” alla prospettiva di indipendenza del Kosovo pensando ai rischi che correrebbe in Cecenia e non solo e che si fa beffe dell’amico Bush proponendogli di spostare i missili in fondo all’Azerbaijan, Paese amico se non vassallo, e di condividerne la catena di comando.
Si fa sentire anche il debuttante Sarkozy cercando di convincere Putin sulla questione serbo-kossovara e tenendo alta la rivendicazione in materia ambientale nel tentativo, nemmeno troppo occulto, di rinvigorire l’alleanza della Francia con la Germania anche in vista del prossimo Consiglio europeo di fine giugno quando qualcosa si dovrà   pur decidere per far ripartire l’Unione europea.
Determinata e forte la presenza della Merkel che presiede con autorevolezza il Vertice cercando di orientarlo verso una visione europea della difesa del pianeta, della qualità   della vita e della solidarietà   con le generazioni future.
Più pallida è sembrata la presenza italiana, di tutte forse quella più zavorrata dalle condizioni della maggioranza di governo e dall’aggressività   dell’opposizione. Un po’ ha cercato di farsi sentire il ministro degli esteri ricordando che la sede per dirimere la questione dei missili è la NATO, allegramente scavalcata dagli USA e che quella per risolvere l’intricato contenzioso del Kosovo è l’ONU: un richiamo apprezzabile al metodo visto che sul merito non si cavava un ragno dal buco.
Difficile in queste condizioni fare un bilancio. A sentire i protagonisti, intenti a parlare ai propri elettori, un successo. A guardare le cose con distacco e pensando agli enormi problemi che si accumulano su questo pianeta malato non c’è da essere molto allegri. Per limitarci al tema del cambiamento climatico – sul quale molto si sono enfatizzate le conclusioni – sarà   pur vero che Bush ha ammesso la responsabilità   umana (in genere naturalmente, non degli USA responsabili di oltre il 40% dei gas ad effetto serra) nel surriscaldamento in corso e che ha preso in considerazione le ambizioni europee di dimezzare le emissioni nocive entro il 2050, ma è almeno altrettanto vero che si è ben guardato di accettare alcun impegno vincolante in materia facendo così da sponda ad India e Cina per nulla intenzionati a rallentare i loro tassi di crescita.
Allora, un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto? Ma vi è una domanda molto più seria a cui si deve rispondere: esiste un bicchiere in grado di raccogliere decisioni condivise? Purtroppo non sembra funzionare un contenitore politico e istituzionale dove possano essere elaborate, secondo essenziali regole democratiche, decisioni che ci coinvolgono tutti e che non è possibile delegare a “grandi” di turno in tutt’altre faccende affaccendati e che non riescono a mettere all’ordine del giorno il mondo di domani perchà© ossessionati dai problemi di casa propria appesi come sono a risicate maggioranze elettorali.
E intanto il mondo aspetta: nel Darfur i massacri restano impuniti, l’Aids e la malaria continuano a decimare intere popolazioni e la salute del pianeta si aggrava. E non sono una risposta i sorrisi, le pacche sulle spalle e le conferenze-stampa cui abbiamo assistito in questi giorni.

1 COMMENTO

  1. La situazione generale è così ridicolmente (se non fosse tragica) squallida che pare un felice emblema l’orologio di Bush furtivamente sfilatogli in Albania.
    A questo punto posso solo domandarmi e domandarvi prepotentemente quale invece possa essere l’azione quotidiana di ognuno di noi nel suo piccolo, qui a Torino, perché si realizzino, si evidenzino, si condividano proposte di vita in direzione diversa da come stiamo vedendo che va il “mondo” nei suoi vari livelli di potere.

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