Europei di calcio: un continente in competizione

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Adesso che il tormentone del calcio europeo è provvisoriamente finito e che, a poco a poco, nei bar e nelle piazze di tutta l’Italia si andranno a poco a poco affievolendo le discussioni di questo “popolo di santi, poeti, navigatori” e allenatori, può essere divertente – ma anche un po’ serio – leggere l’immagine proposta da questo nostro continente, piccolo di dimensioni ma grande per storia e competizioni, non sempre pacifiche, come è stata invece quella conclusasi felicemente per l’Italia e l’Unione Europea a Londra.

Colpiscono le molte letture che sono emerse di queste competizioni, da quelle più propriamente calcistiche a quelle di genere territoriale, da quelle culturali a quelle politiche e istituzionali, fino a sfiorare la dimensione religiosa del continente.

I territori coinvolti andavano dai Paesi meridionali dell’Europa al grande nord della Russia, passando per l’Ucraina; dai Paesi più piccoli, come la sorprendente Danimarca fino alla deludente Francia e,  nel nostro girone, dalla coraggiosa Spagna al piccolo-grande Belgio.

Un caleidoscopio di colori dove a brillare non sono state prevalentemente le squadre più blasonate, a ricordarci che l’Europa è viva e può sempre riservare sorprese.

Anche più intriganti le competizioni tra culture: interessante sentire lo sconfitto allenatore della Spagna complimentarsi sportivamente con la vittoriosa Italia, aggiungendo che per la finale avrebbe fatto tifo per i rappresentanti delle squadre latine, ricordando quella linea di demarcazione che resta in Europa, dopo secoli, tra le diverse culture del continente da quando Roma è penetrata nel nord del continente, rimanendovi più con il diritto che con le legioni.

Anche più evidenti le linee di frattura politica, una in particolare: quella andata in scena, come un simbolo, nello stadio di Wembley tra la squadra italiana rimasta la sola a rappresentare l’Unione, accreditata dal tifo dichiarato di Ursula von der Leyen per gli azzurri, di fronte all’Inghilterra, cuore di Brexit nel Regno Unito e di una secessione che annuncia altre ben più dure competizioni tra le due sponde della Manica.

Addirittura il campionato europeo ha messo a confronto modelli istituzionali, risultato di storie anche tragiche su questo continente di guerre permanenti. E’ stato divertente nel turno delle semifinali assistere allo scontro a coppie tra i quattro Paesi delle sopravvissute monarchie e i quattro  delle più recenti Repubbliche, fino a chiedersi che cosa avrebbe potuto evocare l’incontro tra il Presidente Sergio Mattarella e la regina Elisabetta II, se domenica scorsa avessero avuto occasione di incrociarsi allo stadio ad applaudire i “leoni” inglesi e i “draghi” italiani. Occasione mancata perché, purtroppo per Mattarella, l’incontro a Londra è avvenuto tra due personalità agli antipodi, da una parte il nostro saggio Presidente della Repubblica e dall’altra l’improbabile Premier di una monarchia, nostalgica di un glorioso passato esauritosi da tempo.

Se poi osassimo andare oltre la massima: “scherza con i fanti, ma lascia stare i santi”, potremmo addirittura evocare un’altra competizione, da secoli in corso in questo nostro continente dalle molte diversità, e far scendere in campo i rappresentanti, come a Londra, di squadre provenienti da Paesi a dominante protestante a quelli a dominante cattolica, come nel caso della finale tra Inghilterra e Italia. Ma qui la lettura dei fatti si fa più complicata, perché serietà vorrebbe che si andasse a vedere il profilo culturale di ciascuno dei molti giocatori del torneo europeo, ma è operazione difficile. 

Ed è un peccato, perché allora il quadro delle diversità in Europa si dilaterebbe ulteriormente, rassicurandoci che siamo un continente ancora civile e plurale. 

So close, Boris. So close…

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