Europa-tartaruga e Italia al palo

883

Nel recente Consiglio dei ministri delle Finanze dell’Eurogruppo, a Breslavia in Polonia, l’Europa-tartaruga ha mosso qualche piccolo passo nella direzione del contrasto alla crisi, ma con un ulteriore rinvio di quell’accelerazione che in molti ormai ritengono drammaticamente necessaria.
A frenare è stata ancora una volta la Germania, dove la cancelliera Merkel è alle prese con una rilevante caduta di consenso proprio alla vigilia di un importante pronunciamento del Parlamento tedesco.
A fine mese infatti, il Bundestag dovrà   decidere se sostenere la politica di solidarietà   finanziaria verso in Paesi UE in difficoltà  : Grecia subito, Portogallo e Irlanda a ruota e, non molto lontano forse, Spagna e Italia. Finora la cancelliera, impigliata suo malgrado nello snodo centrale del problema finanziario europeo, si è mossa con ritardo e non senza incertezze meritandosi i rimproveri severi del suo grande predecessore Helmut Kohl che l’ha apertamente accusata di venire meno all’impegno tedesco per la costruzione dell’Europa. E si capisce anche perchà©: la rinuncia all’»arma» del marco e la creazione dell’euro avevano suggellato un patto politico tra la Germania riunificata – e da molti temuta – e l’UE, a fronte di una solidarietà   monetaria e al rafforzamento del processo di integrazione economica e politica.
Purtroppo le cose non sono andate così: all’UE continua a mancare la gamba della governance economica e non basta quella monetaria, affidata alla Banca Centrale Europea (BCE), per correre dietro ai danni provocati dalla crisi finanziaria e dalla crescita rallentata ovunque. Anzi, in assenza di un governo economico dell’UE, la supplenza esercitata dalla BCE si scontra con le resistenze delle residue sovranità   nazionali, quella tedesca in particolare, anche perchà© chiamata a pagare il prezzo più alto.
Così a Breslavia si è cercato di schiodare la situazione con alcune prime misure destinate a costruire la «gamba» che manca all’UE: dalla prevenzione rafforzata da parte della Commissione UE che dovrà   vigilare sull’elaborazione dei bilanci nazionali all’adozione di criteri comuni per la formazione di questi stessi bilanci, per renderli trasparenti e comparabili.
Anche più severe le misure sul debito e sul deficit: il primo dovrà   ridursi ogni anno di 1/20 fino a raggiungere la soglia convenuta del 60% (per l’Italia significa dimezzarlo, con riduzioni di un bel po’ di miliardi ogni anno); il secondo, se eccessivo darà   luogo ad una sanzione sotto forma di un deposito fruttifero pari allo 0,2% del Prodotto Interno Lordo (PIL) da parte del Paese in infrazione.
Facciano bene i loro conti i nostri governanti di oggi e di domani per spiegare fin da subito agli italiani che cosa li aspetta, senza ingannarli nella propaganda in occasione delle non più lontane consultazioni elettorali.
E che dire dell’Italia, oltre che incoraggiarla a risollevarsi, come va strenuamente facendo il Capo dello Stato in mezzo alle tempeste economiche e politiche che scuotono il Paese?
Che l’Italia sia al punto più basso della sua credibilità   in Europa e nel mondo è sotto gli occhi di tutti, anche di quelli che fanno finta di non vedere. L’attuale presidente del Consiglio, in altri affari affaccendato, è assente dalla scena internazionale: nel vicino Mediterraneo, dove la Turchia sta conquistandosi un ruolo crescente e in Libia dove sono protagonisti Francia e Gran Bretagna, all’ONU dove è all’ordine del giorno il tema caldo dello Stato palestinese rinviato sine die da un governo israeliano cieco a quanto sta accadendo nella regione e a Bruxelles dove ci conoscono ormai anche troppo bene per prenderci sul serio.
Intanto l’economia ristagna e ogni previsione di crescita che ci riguarda è rivista al ribasso (un misero 0,7% in più nel 2012), mentre aumentano i prezzi (oggi l’inflazione è al 2,8%, ma andrà   peggio con il recente aumento dell’IVA), la disoccupazione non rientra, quella giovanile cresce e da Parigi l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha appena mandato a dire che la percentuale del PIL destinata all’istruzione – cioè al futuro dell’Italia e delle sue giovani generazioni – è una delle più basse, collocandoci al ventinovesimo posto sui 34 Paesi più sviluppati.
L’Europa avrà   anche indicatori economici migliori degli USA, come piccati hanno risposto i nostri ministri delle Finanze al loro collega americano, Geithner, venuto a Breslavia a farci la lezione: purtroppo non è una grande consolazione, soprattutto se si guarda alla qualità   di quelli che, da questa parte dell’Atlantico, ci governano.
Figuriamoci poi in Italia dove è lo stesso premier a dire – e sono tra le sue poche parole citabili – che «governa a tempo perso». Non c’è bisogno di credergli, si vede.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here