Non incarcerate gli immigrati irregolari

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Lo dice la Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha accolto il ricorso presentato dalla Corte di Assise di Trento in relazione al caso di Hassen El Dridi, cittadino algerino condannato a dodici mesi di reclusione dal Tribunale del capoluogo altoatesino, ai sensi delle disposizioni contenute nel pacchetto sicurezza, per non avere ottemperato ai due provvedimenti di espulsione emessi nei suoi confronti.
La Corte Europea rileva che la disposizione contenuta nel Pacchetto sicurezza, che stabilisice che l’inottemperanza all’ordine di espulsione è punibile con la reclusione da uno a quattro anni, è incompatibile con la direttiva «rimpatri» (2008/115/CE) che l’Italia non ha ancora integrato nel proprio ordinamento nazionale (e su questo la Corte rileva un’altra italica inadempienza) ma che dal dicembre 2010 è «self executing»; i cittadini – in questo caso dei Paesi terzi – possono riferirvisi a tutela dei propri diritti, essendo il diritto comunitario gerarchicamente superiore a quello degli Stati membri.
«La direttiva rimpatri» si legge nel comunicato stampa che accompagna la sentenza della Corte «stabilisce le norme e le procedure comuni con le quali s’intende attuare un’efficace politica di allontanamento e di rimpatrio delle persone, nel rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità  . Gli Stati membri non possono derogare a tali norme e procedure applicando regole più severe».
In sostanza, afferma la Corte, nessun ordinamento nazionale puಠdelegare al magistrato penale l’esecuzione di un provvedimento amministrativo che viene avviato dal prefetto: questo passaggio rappresenta una «scorciatoia» non compatibile con una direttiva in base alla quale il «trattenimento», cioè la limitazione della libertà   personale diventa misura attuabile solo «qualora l’allontanamento rischi di essere compromesso dal comportamento dell’interessato».
Tale limitazione della libertà   personale, secondo quanto stabilito dalla direttiva deve inoltre avere «durata quanto più breve possibile», deve «essere riesaminato ad intervalli ragionevoli», non puಠoltrepassare i diciotto mesi e «deve cessare appena risulti che non esiste più una prospettiva ragionevole di allontanamento», dovendo essere, infine disposto in un centro apposito e, in ogni caso, in una situazione in cui i soggetti coinvolti siano «separati dai detenuti di diritto comune».
La misura detentiva prevista dalla legge italiana, dunque, non è compatibile con l’ordinamento comunitario sia perchà© «gli Stati membri devono continuare ad adoperarsi per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, che continua a produrre i suoi effetti», sia perchà© la pena detentiva anche per le condizioni e le modalità   con le quali viene erogata «rischia di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla direttiva: l’instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare nel rispetto dei loro diritti fondamentali».
Il pronunciamento della Corte determina la disapplicazione immediata e retroattiva delle disposizioni contrarie alla direttiva, in primis della norma che prevede la reclusione da uno a quattro anni «per clandestinità  » che non puಠpiù configurarsi come reato penale.
La sentenza ha offerto al nostro ministro dell’Interno Roberto Maroni l’occasione per continuare a sostenere che «l’Europa se la prende solo con l’Italia» e «ci complica la vita».
Se è vero, come sostiene Maroni, che «altri Paesi prevedono il reato di clandestinità  » è anche vero che quegli stessi Stati – che peraltro, per ragioni storiche e culturali, accolgono e integrano un numero di migranti decisamente superiore rispetto all’Italia – prevedono per tale reato normative congruenti con gli obiettivi e le disposizioni della direttiva rimpatri, approvata, è bene ricordarlo, dal Consiglio dei Ministri dell’UE del giugno 2008 alla presenza dello stesso ministro Maroni e del suo collega Guardasigilli Angelino Alfano a rappresentare l’Italia in seno all’ istituzione comunitaria che ha più peso nella conclusione del processo decisionale ed è più marcatamente «intergovernativa», orientata cioè all’equilibrio tra gli interessi dei singoli Stati membri più che all’interesse dell’Unione Europea quale organismo sovranazionale.
Le reazioni della Commissione Europea, che insieme alla Corte di Giustizia, assolve la funzione di «guardiana dei Trattati», vigilando sulla corretta applicazione del diritto comunitario, sono improntate alla soddisfazione per una sentenza «veloce e chiara» che contribuirà   a «ridurre l’incertezza giuridica causata in Italia dalla mancata attuazione della direttiva sui rimpatri nei termini previsti».
La sentenza, fanno notare da Bruxelles, «non mette in discussione la competenza degli Stati membri di prevedere sanzioni penali in materia di immigrazione irregolare» ma riafferma il principio in base al quale qualsiasi misura nazionale «non puಠcompromettere l’effetto di armonizzazione della direttiva sui rimpatri».
Toccherà   ora agli altri Stati membri che prevedono il reato di clandestinità   valutare le conseguenze di questa sentenza e trarne le debite conclusioni».

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