Duccio Galimberti e il futuro dell’Europa

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In occasione della serata tenutasi a Cuneo presso la sala San Giovanni, lo scorso 3 dicembre, Franco Chittolina, presidente di APICE, ha sintetizzato le tre principali “lezioni” che oggi si possono trarre dall’azione di Duccio Galimberti, figura emblematica della Resistenza a Cuneo e non solo.

Fu, Galimberti, uomo che credeva nel futuro dell’Europa, come ci credevano Spinelli, Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi, e come dovrebbero tornare a crederci oggi i cittadini e i leader politici, seguendo le parole di Papa Francesco.

Fu anche l’autore del primo progetto di Costituzione per l’Europa, per andare oltre quelle sovranità nazionali che Luigi Einaudi, definì «fonti di guerre senza fine», facendosi paladino di quello che sarebbe stato l’articolo 11 della nostra Carta Costituzionale che deve continuare ad essere il fondamento dell’integrazione europea, più forte delle derive nazionaliste e dei risvegli particolaristici.

Infine, la lezione più importante della vita e dell’opera di Galimberti deve ricordarci ogni giorno la necessità di «tornare alla politica», alla partecipazione e all’esercizio concreto di cittadinanza, più forte dell’”euro-indifferenza”e capace di dar vita a un nuovo progetto di identità plurale.

Una lezione di vita

Quella di credere nel futuro anche nel buio del presente: in quel buio del 1943 nel futuro dell’Europa credettero in molti – a cominciare da quelli che combattevano per il futuro dell’Italia. Due nomi fra tutti: nelle nostre montagne Duccio Galimberti e, al confino, in un’isola del mar Tirreno Altiero Spinelli. Duccio che nel 1943 abbozza un progetto di Costituzione europea e Altiero Spinelli che redige, con Ernesto Rossi e Eugenio Colorni, nel 1944 il Manifesto per un’Europa libera e unita.

Bisognava credere nel futuro per gettare un seme, tra le macerie della Seconda Guerra mondiale, che avrebbe avuto ancora bisogno di anni prima di germogliare e dare vita nel 1951 alla CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’acciaio), per poi crescere negli anni fino a diventare l’Unione Europea di oggi con i suoi 28 Stati membri.

Oggi, nonostante una crisi grave e prolungata, l’Unione Europea non vive nel buio come l’Europa di 70 anni fa, dispone ancora di risorse importanti e ha ancora molte carte da giocarsi. Ma perché questo si traduca concretamente bisogna che gli europei, i cittadini e i responsabili politici, tornino a crederci e a inventare una nuova Europa, non solo quella dei parametri di Maastricht e dell’austerità, ma quella della solidarietà e della pace, minacciata da crescenti focolai di guerra alle nostre immediate frontiere.

L’appello di Papa Francesco (Strasburgo 24 novembre 2014) ci serva da lezione e sia di stimolo a questa «vecchia Europa» – stanca come può essere una «nonna», nella metafora affettuosa del Papa – per ricostruirsi attorno al valore fondamentale della dignità della persona e del lavoro.

Una lezione di diritto

Il progetto di Costituzione per l’Europa tratteggiato da Galimberti risentiva inevitabilmente delle condizioni del tempo, ma non sbagliava nell’individuare come nodo centrale per il futuro dell’Europa l’equilibrio difficile da trovare tra unità del continente e il rispetto delle differenze nazionali. Qualche anno dopo, con parole severe, Luigi Einaudi all’Assemblea Costituente denunciava il mito delle sovranità nazionali, fonti per l’Europa di guerre senza fine (basta pensare alla follia della Prima Guerra mondiale, chiamata non a caso anche Guerra europea) e contribuì a quello straordinario articolo 11 della Costituzione, incoraggiando l’Italia alle necessarie rinunce alla sovranità nazionale. Molta strada si è fatta da allora per ridurre il rischio insito nelle sovranità nazionali, trasferendo poteri crescenti all’UE.

Purtroppo oggi assistiamo a pericolose involuzioni e passi indietro su quella strada, certo in salita: crescono in Europa movimenti nazionalisti e xenofobi, che trovano un fertile terreno di coltura in derive populiste e demagogiche, troppo spesso rincorse dai responsabili politici europei. Difficile dire se oggi preoccupa di più il David Cameron che minaccia di uscire dall’UE o quello che chiede di rinegoziare i Trattati per restituire sovranità ai Paesi membri. Se Galimberti fosse ancora qui tra noi ci chiederebbe di vigilare e contrastare queste pericolose tendenze restauratrici.

Una lezione di politica e di democrazia

In quel lontano 1943, consegnato al conflitto armato, era urgente tornare alla politica e alla democrazia. Anche oggi, seppure in un contesto diverso ma non meno insidioso per l’Europa che ha delegato le sue responsabilità all’economia, quando non alla finanza, contribuendo ad indebolire una vita democratica già in non buona salute, tanto nelle Istituzioni che nella partecipazione attiva dei cittadini alla vita comune.

Ne sono un segnale le percentuali di astensionismo alle consultazioni elettorali, tanto locali che nazionali ed europee e, più ancora, la sfiducia dei cittadini verso i luoghi della democrazia, che si tratti del Parlamento ma anche delle pubbliche assemblee e delle piazze. La minaccia per l’Europa di domani non viene dall’opposizione euroscettica, fonte di stimoli e di nuovi contributi per un’“altra Europa”: viene più ancora da un’euro-indifferenza che mina la vita democratica e rallenta un processo in corso per costruire in Europa una nuova forma di democrazia, non solo più la tradizionale democrazia “nella nazione”, ma una più impegnativa e difficile democrazia “tra le nazioni”, che faccia convivere pacificamente popoli e culture diverse e che tali debbono restare.

Il futuro dell’Europa è in un progetto di “identità plurale”, in una cultura dell’accoglienza come Lampedusa sta insegnando all’Europa. Molte cose ancora mancano all’Europa perché questo possa avvenire, in particolare una politica estera e di sicurezza comune, una fiscalità progressivamente armonizzata (anche perché in quest’Europa di Lussemburgo non ce n’è uno solo, ma sono almeno una ventina i Paesi che fanno i furbi con il fisco) e sistemi di welfare compatibili e convergenti.

Galimberti non è morto per Maastricht e la moneta unica, per un’Unione politica tra i popoli europei sì. Tocca adesso a noi e, a chi verrà dopo di noi, mirare con tenacia e pazienza a quell’obiettivo.

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