Democrazia in Europa e in Valsusa

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La decisa presa di posizione del Governo sulla TAV, poche ore dopo la conclusione del Consiglio europeo di Bruxelles di venerdì, merita riflessione, ferma restando la condanna di ogni forma di violenza, compresa quella verbale, da qualunque parte essa venga.

A Bruxelles l’altro giorno si è cominciato a svoltare da un passato paralizzato dall’ossessione della crisi finanziaria e si sono mossi i primi passi verso iniziative in favore della crescita, del lavoro e dei giovani. Il passato l’ha ancora fatta da protagonista e il nuovo stenta a imporsi, confermando ancora una volta i tempi lunghi della politica rispetto a quelli dei processi economici, per non dire dei colpevoli ritardi nel rispondere al disagio sociale che cresce ovunque e che, proprio in questi giorni, ha segnalato in Italia nuovi motivi di allarme per quanto riguarda la disoccupazione e le sue principali vittime, i giovani.

Al ritorno da Bruxelles Mario Monti ha invocato, in favore della TAV, il nostro necessario legame con l’Europa. Può voler dire molte cose: dalla connettività dei trasporti nella rete europea di collegamenti che si va infittendo all’opportunità di avvalersi di risorse finanziarie destinate all’Italia, fino alla necessità per l’Italia di rientrare nel gioco politico europeo come partner affidabile che onora gli impegni presi per inserirsi in piani di sviluppo e di crescita con investimenti nelle infrastrutture.

Una materia complessa che deve fare i conti con la complessità della pratica democratica e le capacità della politica ad assumere decisioni e a gestirne le ricadute sul territorio.

Sui tempi  lunghi e tortuosi della politica in Italia non c’è molto da aggiungere: sicuramente nel caso della TAV non si è distinta per “alta velocità”. Questo significa anche che il disegno iniziale deve adesso fare i conti con le mutate condizioni finanziarie ed economiche, oltre che con la maturazione – in qualche caso fino all’esasperazione – di una nuova sensibilità sociale e ambientale.

E qui arriviamo alla fragilità delle nostre democrazie che stentano a coniugare le esigenze di società complesse in rapida evoluzione con la ricerca di un largo consenso, necessario per un’autentica pratica democratica e decisioni efficaci.

Nel caso della TAV intervengono processi decisionali a più livelli, da quello europeo a quello nazionale fino a quello locale nelle sue diverse articolazioni, in dialogo con le forze politiche e la società civile, spesso tra loro in conflitto. Nel corso degli anni lo spazio del dialogo è stato ampio anche se tardivo e ha consentito aggiustamenti del progetto iniziale forse non sufficienti, vuoi per l’insensibilità di forze politiche alle voci del territorio, vuoi per l’esasperazione che negli anni ha preso il sopravvento sul dialogo e sul ragionamento di merito. Sarebbe probabilmente andata meglio se le consultazioni con il territorio fossero avvenute nella prima fase progettuale, come avviene in altri Paesi europei e come sembra orientato a fare in futuro l’Italia.

Purtroppo si è persa l’occasione di fare, in tempo utile, un innovativo esercizio di democrazia partecipativa, fatto di attenzione al territorio e di responsabilità di questo verso la comunità nazionale ed europea: adesso tutti, da Bruxelles a Roma e in Valsusa, dovranno trarne lezione e attrezzarsi per la nuova e più complessa pratica democratica di domani.

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