Crisi: rispondere subito e insieme

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Ormai non passa giorno senza che tutte le fonti convergano per ricordarci la gravità   della crisi economica in corso. Ce lo ripetono, tra le altre, agenzie internazionali come il Fondo Monetario Internazionale (FMI), l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). Più precise ma non meno allarmanti le notizie in provenienza dalle fonti europee. Quasi quotidianamente arrivano dalle istituzioni di Bruxelles aggiornamenti sugli inquietanti scricchiolii dell’economia UE e stanno diventando insolitamente frequenti i richiami di un organo autorevole, quanto abitualmente discreto, quale la Banca Centrale Europea (BCE).
Quest’ultima, nel suo bollettino di febbraio appena pubblicato, attira l’attenzione su quanto sia «eccezionalmente elevata» l’incertezza economica e quanto siano fondati «i timori di nuove e crescenti spinte protezionistiche». Tradotto: il prodotto interno lordo (PIL) è in continua flessione nell’UE, il disavanzo dei bilanci pubblici si aggrava (nella zona euro nel 2009 raddoppierà   rispetto al 2008) mentre i singoli governi nazionali in affanno adottano iniziative non coordinate a livello europeo e, peggio, intervengono con misure protezionistiche che danneggiano gli altri Paesi membri.
Se non siamo al «si salvi chi puಠe tanto peggio per gli altri», poco ci manca. Francia e Germania hanno tentato nei giorni scorsi di ricostituire un asse d’intesa come ai vecchi tempi, ma è difficile dire quanto lo abbiano fatto per l’Europa o quanto per sà© insieme o, addirittura, per controllarsi l’un l’altro. Anche perchà© Sarkozy ha fatto un repentino passaggio da «campione europeo» a «campione francese», tornando a un nazionalismo di vecchia data.
Davanti alla spinta centrifuga dei singoli Paesi e raccogliendo un invito franco-tedesco, la presidenza ceca dell’UE ha convocato un Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo per il 1° marzo, nonostante in agenda ve ne sia già   uno previsto per metà   dello stesso mese, che pochi giorni fa si sia riunito il G7 a Roma e che pochi giorni dopo si riunisca a Londra il G20 dei Paesi più sviluppati.
Viene da pensare che le riunioni comincino a essere troppe e le decisioni troppo poche, tardive e poco coordinate. E tutto questo mentre dal mondo del lavoro arrivano quotidiani bollettini di guerra su chiusure di aziende e disoccupazione. Un grido di allarme giunge dalla Confederazione Europea dei Sindacati (CES), che ritiene sottostimata la previsione della Commissione europea di tre milioni e mezzo di nuovi disoccupati nel 2009 nell’UE quando il numero effettivo dei posti di lavoro persi potrebbe essere di cinque-sei milioni.
Non diversa, fatte le debite proporzioni, la situazione sul nostro territorio: anche qui, dopo troppo tempo passato a rassicurare, crescono le grida di allarme, finalmente ci si dice preoccupati, si moltiplicano riunioni e tavoli di concertazione ma si tarda a adottare misure concrete e si aspetta che siano gli altri a farsi carico dei problemi.
Anche da noi si aggrava la mortalità   delle aziende, aumenta – a volte in modo sospetto – la cassa integrazione, diminuiscono gli avviamenti al lavoro e i soggetti pubblici tardano a adottare misure adeguate. Il caso dei nostri Enti locali ha in proposito qualcosa di surreale: ingessati dentro un Patto di stabilità   che penalizza anche chi ha bilanci sani, sono impediti di attivare le risorse di cui dispongono e che potrebbero essere rapidamente destinate ad opere pubbliche e dare ossigeno ad un mercato del lavoro in rapida contrazione.
Anche qui, come nel resto dell’Europa, una risposta efficace alla crisi ha connotati chiari: intervenire subito e insieme.
Subito, rispondendo a due urgenze. L’urgenza immediata è il sostegno al rilancio della domanda, e quindi del lavoro, e al reddito, in particolare delle fasce più deboli, con il rafforzamento della cassa integrazione, magari a rotazione, e altri strumenti come la facilitazione di accesso ad un credito a costi ridotti e con tempi più lunghi per il rientro.
Ma non meno urgente è costruire fin da subito condizioni di rilancio dell’economia a medio termine: è l’urgenza di investimenti per il futuro del nostro sistema produttivo, in molte sue parti obsoleto e tendenzialmente fuori mercato.
Concretamente vuol dire investire in formazione: oggi, per trattenere le persone sul mercato del lavoro con iniziative di riqualificazione e per essere pronti con risorse umane preparate a cogliere, domani, le opportunità   della ripresa che verrà  . E poi investire nell’economia ecosostenibile e in infrastrutture, in particolare nel settore delle comunicazioni, per attrezzare il territorio in vista dei mercati del futuro che andranno ben oltre i nostri beneamati campanili e farlo con opere cantierabili a breve, perchà© non c’è tempo da perdere.
Infine, ma è l’esigenza fondamentale, operare tutti insieme, ciascuno per la parte che gli spetta senza aspettare che sia l’altro a partire, evitando quella forma furbesca di protezionismo che consiste nel cercare di «salvare se stessi a spese degli altri», magari anche solo per ingannare l’opinione pubblica in vista di effimeri consensi.
Agire subito e insieme deve valere per tutti: soggetti pubblici di diverso colore politico, attori privati, dalle aziende agli istituti di credito fino alle realtà   del no profit, organizzazioni sociali e sindacali che, mai come in questo momento, abbiamo bisogno che lavorino unitariamente.

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