Clima incerto al Consiglio Europeo

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Buone e meno buone notizie sono arrivate i giorni scorsi da Bruxelles. Tra le buone notizie, la probabile entrata in vigore entro l’anno del Trattato di Lisbona che potrebbe permettere all’UE di riprendere slancio dopo anni di paralisi istituzionale e aiutarla a trovare politiche comuni per rispondere alla crisi e riprendere un ruolo più attivo negli affari del mondo. Confortante anche l’intesa raggiunta nel Consiglio Europeo a Bruxelles tra i 27 capi di Stato e di governo per lottare contro il surriscaldamento climatico e presentarsi così alla Conferenza ONU sul clima, che si terrà   a dicembre a Copenaghen, con una posizione negoziale forte da far valere con i Paesi più sviluppati (USA, Russia, Cina, Brasile, Indiaà¢à¢â€š¬à‚¦) perchà© tutti insieme ci si faccia carico della salvaguardia del pianeta. Per riuscirci questi Paesi dovranno sborsare dai 20 ai 50 miliardi di euro all’anno per sostenere i Paesi poveri nella lotta per combattere il cambiamento climatico.
Come in tutti gli avvii di negoziato, anche qui non tutte le carte sono scoperte: l’UE lascia intendere che è disposta ad uno sforzo finanziario rilevante – qualcosa come 100 miliardi di euro entro il 2020 – ma che pagherà   questa salata «bolletta» solo se anche gli altri faranno la loro parte.
Resta da vedere come sarà   ripartito questo costo tra i 27, tenuto conto della crisi in corso e delle difficoltà   specifiche nella riduzione dell’inquinamento da parte dei Paesi dell’Europa centrale e orientale.
Qualche passo avanti è stato fatto anche sul fronte caldo dell’immigrazione, in particolare per quanto riguarda il problema dei rifugiati e l’adozione di un sistema comune di asilo.
Ma qui finisce la lista delle buone notizie, con il ritorno di una forte turbolenza delle Borse mondiali cui non sfuggono quelle europee, la conferma sullo stato precario dei conti pubblici di molti Paesi e l’aggravamento della disoccupazione.
Qui le cifre sono da capogiro e gli osservatori concordano sul loro futuro peggioramento: 22 milioni di senza lavoro oggi con 5 milioni di posti persi solo nell’ultimo anno, mentre viaggiamo verso un tasso di disoccupazione medio attorno al 10% e la prospettiva di raggiungere l’11% nel 2010. Particolarmente grave la crisi in alcuni Paesi, come in Spagna dove il tasso di disoccupazione ha superato il 19% e un giovane su quattro è senza lavoro.
Peccato che tutte queste notizie, buone o meno buone o decisamente cattive, siano state spinte in un cono d’ombra dal balletto delle poltrone in palio a Bruxelles, che invece ha fatto i titoli di apertura dei cosiddetti grandi «media» e di quelli italiani in particolare.
Il quadro è complesso ma si puಠriassumere così: dopo la conquista da parte dello schieramento di centro-destra europeo della poltrona a tempo del presidente del Parlamento con il polacco Buzek e, per l’intera legislatura, del presidente della Commissione Europea con il portoghese Barroso, due posti di vertice, creati ex-novo dal Trattato di Lisbona, restano ancora disponibili: quelli di presidente stabile del Consiglio Europeo e di ministro degli Esteri e vicepresidente della Commissione.
Qui i giochi sono complicati, anche se ormai vicini ad una soluzione, in particolare dopo il tramonto per la presidenza del Consiglio Europeo di una candidatura politicamente improponibile come quella di Tony Blair e, probabilmente, di una troppo europeista per i tempi che corrono come quella del lussemburghese Juncker, il primo in provenienza dalla famiglia socialista e il secondo da quella democristiana.
La soluzione che sembra profilarsi – una decisione è prevista nei prossimi giorni – è quella di un’intesa che vedrebbe alla presidenza del Consiglio Europeo un esponente della galassia del centro-destra (circola con insistenza il nome dell’austriaco Schussel, sostenuto dalla cancelliera tedesca Merkel) e un esponente della famiglia socialista per il posto di ministro degli Esteri UE.
àˆ qui che, non senza sorpresa, è venuto fuori il nome di Massimo D’Alema esplicitamente proposto, con altri, dal Partito socialista europeo: ed è qui che i nostri «media» hanno dato il meglio – o il peggio – della loro eccitazione provinciale, appassionandosi a calcoli di politica interna, chi invocando intese «bipartisan», chi evocando rischi di «inciuci».
A D’Alema, non senza imbarazzo, il governo italiano non ha escluso di dare il proprio sostegno, cosa che deve aver provocato non poca preoccupazione e qualche scongiuro da parte del candidato ministro degli Esteri dell’UE.
D’Alema, forte della sua esperienza internazionale oltre che di quella di ex-presidente del Consiglio italiano, si è detto onorato e ha ringraziato il governo, ben sapendo che la sua nomina farebbe perdere al centro-destra italiano – che già   si era fatto sfilare il posto di presidente del Parlamento – anche il posto in Commissione, oggi occupato dalla pallida figura di Tajani, e taglierebbe la strada alle ambizioni di Tremonti, interessato alla presidenza dell’Eurogruppo, senza contare che metterebbe a repentaglio la possibilità   per Draghi di diventare nel 2011 presidente della Banca Centrale Europea.
Un gioco ad incastro complesso, che rischia purtroppo di risolversi negativamente per l’Italia, il cui governo è afflitto da una credibilità   internazionale oggi ai suoi livelli più bassi.
Se non fosse che i tempi in cui viviamo non vi si prestano molto, ci sarebbe da divertirsi e non poco in questo balletto euro-italiano la cui conclusione – probabilmente di non altissimo profilo – ci dirà   ancora una volta di che pasta è fatto questo nostro Paese.

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