Blair e le sue proposte per l’UE

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Lo sconcerto nell’UE continua. Dopo i NO alla Costituzione e il fallimento del Consiglio europeo il 16 e 17 giugno scorso a Bruxelles, è stata la volta dell’intervento di Tony Blair davanti al Parlamento europeo alla vigilia del semestre di Presidenza inglese dell’Unione europea. Non si era ancora spenta l’eco degli applausi da stadio tributati al Presidente uscente, il coraggioso lussemburghese Jean-Claude Juncker, che nutriti battimani accoglievano davanti alla stessa Assemblea le proposte del suo più fiero avversario, il Primo ministro britannico dai più ritenuto il responsabile principale dello scacco del negoziato finanziario di Bruxelles. Viene da chiedersi se tali comportamenti siano da attribuirsi alle virtù della democrazia che contempla la possibilità   di cambiare opinione, a regole di cortesia verso il Presidente di turno o, più probabilmente, allo sconcerto che continua a dominare tra gli europei e i loro rappresentanti nelle Istituzioni dell’Unione. A scorrere le dichiarazioni di questi ultimi si legge di tutto e il contrario di tutto: Blair interprete della modernità  , salvatore dell’Unione di domani, artefice di un nuovo Welfare in Europa dopo averlo sperimentato positivamente in Gran Bretagna. Ma anche: Blair il laburista che ha tradito i valori del socialismo, successore in linea diretta della Thatcher e affossatore dell’Europa politica al soldo di Bush. E molte altre graziose espressioni si potrebbero elencare, in un senso e nell’altro, su questo personaggio ormai al centro della scena europea. E qui sta forse il primo elemento su cui si puಠlargamente convenire: Blair ha dato il via al suo turno di Presidenza dell’Unione imponendosi come il leader di riferimento, quello con cui fare i conti e mettere alla prova. Almeno su questo sostenitori, destinati a crescere ed avversari, costretti a remare contro-corrente, sono d’accordo: e allora partiamo di qui ed andiamo a vedere il personaggio e le sue prime proposte.

Il personaggio Tony Blair

Di Blair sarebbe ingenuo negare le doti politiche di cui ha dato prova nel suo Paese o non vedere la sua capacità   a muoversi con efficacia sulla scena europea ed internazionale. Nel suo Paese, dopo aver ereditato un partito laburista invecchiato e logorato dai governi conservatori, ha imposto un nuovo corso fortemente «riformista» lasciando sul terreno vittime illustri sulla sua ala sinistra e affrancandosi dal non gratuito sostegno del sindacato, peraltro in grave crisi dopo la cura-Thatcher. Conquistata solidamente la leadership del suo partito ha preso il timone del governo britannico tenendolo saldamente in mano nonostante il disinvolto comportamento nella guerra con l’Iraq e riuscendo ad essere il primo laburista confermato alla guida del Paese per tre legislature consecutive. Gli succederà  , salvo imprevisti, quel Gordon Brown suo amico ed avversario di cui cominceremo a sentire parlare più spesso già   nel corso del semestre inglese nell’Unione. E adesso, che cosa farà   Tony Blair? Giovane di età   e di statura politica francamente sopra la media rispetto ai suoi colleghi europei o perchà© sul viale del tramonto come Chirac e Schroeder o perchà© ancora alle prime prove come Zapatero o perchà© privi di credibilità   internazionale come il Presidente del Consiglio italiano, Tony Blair ha molte carte da giocare. A cominciare dalla vicinanza politica con i futuri governanti tedeschi e francesi che potrebbe prefigurare il triangolo attorno a cui organizzare il futuro dell’Unione europea, senza dimenticare il suo solido ancoraggio atlantico e lo stretto rapporto con Bush come hanno dimostrato le vicende irachene nonchà© le sue doti mediatiche particolarmente apprezzate in questa stagione di «politica debole».

Le proposte Di Tony Blair

Forte di questa posizione, Blair davanti al Parlamento europeo che si aspettava un discorso tutto in difesa è partito decisamente all’attacco. Dopo essersi dichiarato un europeista della prima ora, ha rivendicato il sostegno dato al Protocollo sociale di Maastricht tralasciando di aggiungere che di lì non si sarebbe più mosso di un millimetro sul rafforzamento della dimensione sociale dell’Unione (e lo sanno bene gli autori del Trattato costituzionale e, in particolare, i sindacati europei), anzi affermando senza apparente imbarazzo che per lui nell’Unione economia, sociale e politica vanno di pari passo. Cioè stanno fermi, il blocco dell’una paralizzando le altre due dimensioni. E qui siamo nel cuore del nodo che aggroviglia il futuro dell’Unione europea: per rispondere alle attese legittime dei cittadini in materia di occupazione e protezione sociale è necessario un governo economico dell’Unione e perchà© questo sia equilibrato all’interno e sostenibile nella competizione internazionale è indispensabile una capacità   politica dell’Unione cui siano delegate competenze sopranazionali adeguate. Ora tutto questo, dopo cinquant’anni di Unione, continua a mancare all’appello. Restano nazionali le politiche sociali e i sistemi di Welfare, nazionali sono le politiche di bilancio indispensabili per un governo economico e sovrane, almeno in apparenza, le politiche estere e di difesa. La stessa moneta unica, potente elemento federatore sopranazionale, è stata adottata da una minoranza di Paesi dell’Unione (e non a caso tra questi non figura la Gran Bretagna) e comunque da sola non costituisce governo dell’economia che anzi puಠanche talvolta turbare. Davanti al Parlamento, Blair non ha esitato a dire che l’Unione è un progetto politico, lasciando esterrefatto più di un parlamentare che avesse un po’ di memoria sul comportamento, per la verità   lineare e coerente, della Gran Bretagna nell’Unione dal 1973 ad oggi. Sarebbe lungo ricordare tutti «veti» posti dal Governo britannico proprio a quelle misure che avrebbero fatto progredire l’Unione politica, la capacità   di governo delle sue Istituzioni, la sua dimensione sociale ed economica, fisco compreso. Sarà   breve un semestre per misurare la credibilità   delle proposte di Blair rispetto ad una consolidata esperienza britannica più che trentennale. Ma sarà   anche bene non perdere tempo nel capire il disegno di Blair e le esigenze dell’Europa che già   a prima vista non sembrano tra loro coincidere. Varrà   la pena ritornare sull’argomento per cominciare ad uscire dallo sconcerto in cui siamo finiti.

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