Ancora instabile il futuro patto di stabilità UE

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Difficile regolare l’economia in movimento, specie quando questa danza sulle montagne russe: prima lasciando intravvedere prospettive di crescita e poi registrando cadute del prodotto interno lordo (PIL) e nuovi picchi di aumento del debito pubblico, come nel caso dell’Italia. Non che vada molto meglio in altri Paesi UE, con Germania e Olanda in recessione e tutti confrontati all’aumento dei tassi di interesse da parte della Banca centrale europea (BCE), in ritardo a domare l’inflazione.

E’ in questo scenario che Bruxelles si appresta ad affrontare la fase finale del negoziato sul futuro Patto di stabilità, dopo averne sospeso l’applicazione all’indomani del Covid, con l’obiettivo di aggiornare le regole per il contenimento del deficit al 3% del PIL e il rientro dal debito verso soglie sostenibili per la stabilità della moneta e il rilancio dell’economia.

Nel negoziato si distinguono tre attori, con un quarto in attesa di intervenire: la Commissione europea responsabile della proposta sul tavolo, il plotone dei rigoristi (Germania, Olanda, Austria e Finlandia), i Paesi che invocano flessibilità (Italia, Francia, Spagna, Belgio e Grecia) e il Parlamento europeo che dovrà dire la sua proprio alla vigilia delle prossime elezioni di giugno.

Ferma restando la soglia del deficit annuale al 3% e la necessità di ridurre i debiti pubblici aumentati in questi anni di crisi, con l’Italia appesa al nodo scorsoio del 140% del PIL, la Commissione aveva proposto di spalmare nel tempo il periodo di esecuzione del risanamento, prevedendo un margine di sette anni nel corso dei quali sarebbe stato modulato il rientro, tenuto conto dell’andamento dell’economia. 

La proposta non è piaciuta molto ai Paesi “rigoristi”, ritenendola troppo blanda e non fidandosi del ritmo di rientro e, anche, di possibili eccessi di comprensione da parte della Commissione europea, che aumenterebbe in questa occasione il suo potere nel governo dell’economia.

Si sentono in trappola i Paesi che invocano flessibilità, realismo e comprensione, in particolare l’Italia con il suo alto debito pubblico, per il timore di essere privati di margini di manovra per i loro bilanci, con il rischio di innescare nuove crisi, non solo economiche ma anche sociali, come è accaduto nel decennio scorso alla Grecia. 

La trappola è quella che si profila tra accettare il nuovo Patto, reso più severo dai “rigoristi” rispetto alla proposta della Commissione, o vedere riconfermato il vecchio Patto, anche più rigido di quello in corso di negoziato.

A quel tavolo negoziale sarebbe auspicabile un’alleanza tra Italia, Francia e Spagna, ma ne sono lontane le condizioni politiche viste le permanenti tensioni italiane con la Francia e la precarietà del quadro politico spagnolo, per un po’ senza un nuovo governo che, se poi dovesse essere ancora a guida socialista, non avrebbe simpatia per una maggioranza di governo italiana che si è espressa in favore dell’estrema destra di Vox in Spagna.

Come in tutti i negoziati, per fissare nuove regole funziona l’antica regola dello scambio politico in un quadro aggiornato di rapporti di forza. Per semplificare concentriamoci sul contenzioso centrale, quello che si annuncia tra Italia e Germania, cominciando dai rispettivi stati di salute, in entrambi i casi non proprio buoni: in recessione la Germania, con poche risorse finanziarie a disposizione l’Italia. Di qui l’idea di uno scambio tra consentire alla Germania, in buona salute finanziaria, maggiori margini per gli aiuti di Stato e lasciare maggiore flessibilità all’Italia per il rientro dal debito. 

Sarà di nuovo in programma la partita Italia-Germania, a deciderla questa volta sarà il rigore.

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