Vi presentiamo un estratto del discorso pronunciato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione del convegno “Il sogno europeista è nato qua. Una sfida da completare”, pronunciato a Torre Pellice il 31 agosto 2023.
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Ebbene, oggi parliamo – vivendole concretamente – di cittadinanza “europea”, di libera circolazione delle persone negli Stati di quella che, nel frattempo, è divenuta “L’Unione”.
Parliamo dei valori di libertà e democrazia che contraddistinguono i suoi membri.
Sembra di rileggere quanto veniva scritto allora.
Un primo segno fu il Trattato di Londra del 1949 che diede vita al Consiglio d’Europa con sede a Strasburgo. Seguirono poi le iniziative dell’accidentato percorso di integrazione europea, evidenziate poc’anzi dall’on. Valdo Spini.
Un cantiere permanente quello che caratterizza il percorso verso una “unione sempre più stretta” tra i popoli europei, come recita il preambolo della Carta dei diritti fondamentale della Unione europea.
Veniamo da una stagione che ha visto l’Unione fortemente sollecitata a saper proporre soluzione politiche a questioni centrali per il futuro.
Guardiamo per un momento alle crisi attraversate o a quelle in corso: la pandemia, la crisi finanziaria, la guerra.
Si ritiene forse possibile affrontarle fuori dall’Unione europea o con una Unione debole?
È noto come nel processo di unificazione europea si sia, a lungo, dibattuto fra due prospettive o meglio, forse, fra due percorsi con la medesima prospettiva: la piena integrazione d’Europa. Quella federalista di Spinelli e quella funzionalista di Jean Monnet, messe in campo dal Ministro degli esteri francese, Robert Schuman.
Certo, si è sovente presentata anche l’interpretazione, riduttiva, di una mera cornice di collaborazione economica, tuttora fatta propria da alcuni Stati membri.
La battaglia di Spinelli si sviluppò poi nel Parlamento europeo, verso una vera e propria Costituzione europea.
La sfida di fronte alla quale ci si è sempre trovati è quella della capacità di passare, coerentemente, dalle politiche adottate in sede comunitaria, alla loro traduzione in istituzioni.
Si colgono qui sia i limiti dell’approccio funzionalista sia i passi concreti che ha permesso di fare.
Nel tempo presente, si pensi al ruolo fondamentale e prezioso espresso dall’Unione su temi come quelli della salute durante il Covid (che pure non appartengono, strettamente, alla competenza comunitaria) e del rilancio delle economie, con i programmi del NGEU e del SURE, che permettono, anche al nostro Paese, di promuovere, fra gli altri, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Contemporaneamente va osservato che passi avanti sul terreno federalista si riscontrano sin dal sorgere della prima importante tappa che apre al cammino europeo: la Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio, lanciata da Schuman, in cui, con grande significato, si dà vita a un’autorità internazionale “indipendente dai governi”.
Credo che sia evidente a tutti – o quantomeno a molti – come l’espressione di Spinelli “l’Europa sogno o invito a operare” si sia trasformata oggi in un dovere.
Ho ricordato la questione della guerra portata dalla Federazione Russa all’Ucraina come la sfida di fronte alla quale si trovano oggi i popoli europei.
Spesso la drammatica sofferenza delle guerre ha spinto verso nuovi equilibri e ordini internazionali.
Per restare al Novecento, è stato così con il Primo conflitto mondiale e la nascita della Società delle Nazioni.
Così con il Secondo conflitto, con le Nazioni Unite e l’avvio del processo di integrazione europea.
In entrambi i casi, l’aspirazione era porre fine alla guerra come strumento di risoluzione delle controversie, come recita la nostra Costituzione.
E, a lungo, prima sul crinale della “guerra fredda”, poi della caduta della “cortina di ferro”, la stabilità è prevalsa.
La nostra Costituzione, agli art. 10 e, soprattutto, 11, impegna l’Italia a promuovere e favorire le organizzazioni internazionali rivolte ad assicurare pace e giustizia fra le Nazioni.
La pretesa che siano le guerre a disegnare gli equilibri corrisponde alla logica del prevalere del più forte sul più debole.
La logica che ha condotto alle nefandezze del Novecento.
Per uscire dalle quali sono state necessarie tenacia e risolutezza.
Alcide De Gasperi, ritenuto, a ragione, uno di Padri fondatori oltre che della nostra Repubblica anche del processo di integrazione europea, forte della sua esperienza di uomo di frontiera, osservava che “la principale virtù della democrazia è la pazienza. Bisogna attendere alle cose con tenacia e vigilanza, con la coscienza che le cose debbano sempre maturarsi”.
La pazienza “di fronte alle lentezze dell’uomo”.
L’unità europea è un’impresa in salita, dove alle difficoltà e alle visioni anguste si devono contrapporre fattori ideali e politici.
L’unità europea è l’ambizione di completare uno storico percorso di innegabile successo.
Sprovvista delle sue autentiche ambizioni, l’Europa non avrebbe ragione di esistere. Non potrebbe esistere.
L’ambizione, in tempi di guerra, di conseguire presto la pace per un ordine internazionale rispettoso delle persone e dei popoli.
L’ambizione, in tempi di pace, di preparare la pace del futuro, il suo consolidamento per la giustizia tra le nazioni e fra i popoli.
È questa la permanente attualità dell’invito a operare di Spinelli.
Da raccogliere; in ogni stagione.
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