A Bruxelles l’OSE presenta il bilancio sociale dell’Unione europea

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Il seminario di presentazione del volume che dagli esordi rappresenta uno dei prodotti di punta dell’Osservatorio Sociale Europeo di Bruxelles (OSE) , si è svolto al Parlamento europeo, ospitato dal Gruppo dei Verdi ed è stato presieduto da Pierre Jonkheer, Vice presidente dei verdi europei e Presidente dell’OSE, alla presenza di molti europarlamentari.
Nel presentare il bilancio sociale dell’Unione, i vari oratori hanno dato un quadro d’insieme della difficile situazione in cui si trova l’Europa, toccando i temi centrali affrontati durante l’anno: la Costituzione europea, le prospettive finanziarie 2007-2013, il dibattito sul Modello Sociale Europeo e l’ allargamento, presente e futuro.
In tema di ratifica del trattato Costituzionale nel 2005 i NO di Francia e Olanda hanno messo in evidenza la complessità   e la lunghezza del processo di ratifica di un trattato che i cittadini europei non conoscono e non sentono come loro patrimonio , accusandolo ingiustamente di essere responsabile di quel mal funzionamento della macchina istituzionale europea che forse proprio a partire dalla Costituzione, avrebbe trovato qualche ipotesi o avvio di soluzione.
Nei giorni in cui i cittadini Francesi dicevano No alla Costituzione, l’allora presidente di turno dell’Unione Europea, il lussemburghese Jean Claude Juncker vedeva naufragare, alla fine di un tesissimo vertice dei Capi di Stato e di Governo ogni suo tentativo di mettere d’accordo i Venticinque, ma in particolare Chirac e Blair, sulle risorse di cui l’Unione europea avrebbe dovuto disporre nei prossimi sette anni; anche se alla fine un accordo è stato trovato al consiglio europeo di dicembre presieduto da Tony Blair e leggermente ritoccato al rialzo dal Parlamento Europeo ad aprile 2006.
Gli allargamenti avvenuti nel maggio 2004 e quelli futuri (Romania, Bulgaria, Croazia e Turchia) hanno continuato e continuano ad alimentare il dibattito. Il fantasma dell’idraulico polacco che ha fatto capolino nel dibattito referendario francese e che è stato «cancellato» dai dati sulla mobilità   dei lavoratori resi noti dalla Commissione a febbraio interroga sulla sostenibilità   del modello sociale europeo come è oggi e sulla sua capacità   di essere un punto di riferimento per i Paesi emergenti, non solo europei.
La riflessione sul modello sociale europeo avrebbe dovuto essere al centro di quel Consiglio Informale presieduto da Tony Blair all’indomani del suo insediamento quale Presidente di turno dell’Ue per l’ottobre 2005 per tentare di adattare il modello sociale europeo alle nuove circostanze e alla «globalizzazione»; vertice al quale nessuna decisione di rilievo è stata assunta lasciando anche abbastanza in secondo piano il tema che doveva essere centrale
Tutti questi argomenti sono stati affrontati durante la presentazione del volume a cui hanno preso parte il direttore dell’Osservatorio Sociale Europeo Philippe Pochet e gi autori di alcuni capitoli (Pierre De fraigne, Christophe De Gryse ed Eric Van Den Abeele)..
Malgrado tutti questi problematici processi ed eventi, l’Europa non è rimasta paralizzata ma ha continuato a muoversi e a decidere in una direzione che pone inquietanti interrogativi per il futuro della dimensione sociale dell’Europa e della politica sociale.
Fenomeni quali la marcata tendenza verso politiche di forte competitività  , gli allargamenti che portano diversi modelli sociali e che possono indurre a un maggior decentramento delle decisioni in materia o al limite a più sussidiarietà  , pressioni esterne dovute alla globalizzazione e all’emergere di nuovi e potenti attori economici (Cina e India ad esempio) sono tutti interrogativi fondamentali per valutare come il modello sociale europeo possa essere mantenuto o ulteriormente sviluppato.
Il quadro complessivo dell’Europa sociale oggi puಠquindi dirsi non proprio confortante e in questo contesto non si puಠnon sottolineare che uno scenario possibile è rappresentato dalla prospettiva di rimessa in discussione del metodo comunitario di legiferare e cioè l’idea di ridurre all’essenziale, per costi e per impatto, la legislazione comunitaria, aprendo ancor più la porta alla sussidiarietà   o alla rinuncia del ruolo di armonizzazione della Comunità  .nei confronti dei sistemi nazionali.
L’Europa di oggi sembra quindi rinunciare a tenere o a mettere al centro della sua agenda la politica sociale; il tema della fiscalità   è stato inevitabilmente affrontato e considerato come lo strumento principale per fondare e assicurare una coerente politica sociale. Dalla struttura e dall’utilizzo della fiscalità   dipendono le scelte e gli orientamenti di fondo della politica sociale presente e futura. Ma, come si sa, la politica fiscale continua ad essere di competenza esclusiva degli Stati membri.
In tema di tasse, quindi l’Europa non decide, e dopo gli sforzi fatti con l’elaborazione della Strategia di Lisbona – profondamente modificata in occasione della revisione di metà   percorso – viene a mancare persino il confronto tra Stati membri che hanno strutture di fiscalità   differenti, e quindi approcci differenti alla politica sociale e «modelli sociali differenti»; da questo confronto potrebbero emergere risposte alle attuali sfide.
Nel corso del dibattito che ha fatto seguito alle relazioni degli autori è emerso un tema largamente discusso e frequentemente affrontato nei commenti di questo anno di attualità   europea: la distanza tra l’Europa e i suoi cittadini. Anche e forse soprattutto in tema di politica sociale, si è detto, l’Europa non ha saputo ascoltare i cittadini che chiedono un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e una diminuzione del livello di precarietà   .
I cittadini non sanno perchà© non è stata data loro la possibilità   di capire e l’Europa non è stata capace di parlare con una sola voce e di comunicare al mondo un suo messaggio, una visione comune, in progetto condiviso di società   futura .
Da qui sono partite le riflessioni che hanno concluso il dibattito consegnando ai presenti nuovi interrogativi e nuove piste di riflessione: nel 2005 l’Europa si è sfilacciata ma questa visione pessimistica puಠessere temperata dalla ripresa del dibattito democratico a livello europeo; le pressioni e le sfide esterne e interne impongono la modifica e la «ridefinizione del progetto europeo». In questo senso vanno sia il Trattato Costituzionale sia la ridefinizione della Strategia per la crescita e l’occupazione che hanno messo a nudo tutte le difficoltà   dell’Europa di oggi ma ancora non ci hanno detto – e solo il tempo lo farà   – se le pressioni interne ed esterne mettono a rischio il progetto o possono in ultima analisi rafforzare le dinamiche interne di cooperazione per un suo progresso.

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