42 milioni di lavoratori e lavoratrici europei necessitano sussidi all’occupazione a causa della pandemia COVID-19

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«Il rischio è che se gli Stati e l’UE non intervengono rapidamente gran parte di questi 42 milioni di lavoratori finisca disoccupata.»

Una delle maggiori conseguenze che la pandemia COVID-19 ha generato riguarda i posti di lavoro. In uno studio intitolato “Garantire un lavoro equo a tempo parziale – una panoramica europea,” l’Istituto sindacale europeo (ETUI) ha evidenziato come, tra la fine di aprile e l’inizio di maggio, in Europa siano state avanzate richieste di indennità per lavoro ridotto o altri sussidi simili per 42 milioni di lavoratori e lavoratrici dell’Unione, un dato equivalente al 26% delle 160 milioni di persone che formano la forza lavoro UE. Si tratta di un livello inedito, che non era stato registrato neppure in seguito alla crisi economica del 2008.

Tra i Paesi che hanno avuto più domande vi sono la Francia (11 milioni di domande), la Germania (10 milioni) e l’Italia (8 milioni). Stando a quanto riportato dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), coloro che potrebbero godere di benefici statali sono 7,2 milioni.

Tuttavia, i numeri assoluti raccontano soltanto una parte della verità. Infatti, analizzando i valori percentuali, emerge come al primo posto vi sia la Svizzera: nella Confederazione Elvetica, il 48,1% dei lavoratori e delle lavoratrici hanno richiesto indennità di lavoro ridotto. A seguire, vi sono la Francia (47,8%) e l’Italia (46,6%). La Germania, invece, ha un dato del 25% circa.

L’ETUI ha, inoltre, evidenziato come la realtà europea sia alquanto diversa da quella statunitense. In quest’ultima, infatti, 33 milioni di persone hanno perso il proprio posto di lavoro, anche a causa dell’assenza di sussidi all’occupazione. In tal senso, gli ammortizzatori sociali europei hanno evitato livelli di disoccupazione ancor più preoccupanti.

È in tale contesto di emergenza occupazionale che il Consiglio ha recentemente adottato SURE, uno strumento temporaneo che permette agli Stati membri di richiedere l’aiuto dell’Unione Europea per fronteggiare l’aumento improvviso della spesa pubblica nazionale legato a regimi di riduzione dell’orario lavorativo o ad azioni di carattere sanitario. SURE si presenta come una delle tre misure di sicurezza, il cui valore complessivo è 540 miliardi di euro, per l’occupazione, i lavoratori e le lavoratrici, le imprese e gli Stati membri. Ora questo pacchetto dovrebbe diventare operativo entro il 1° giugno 2020.

Il nuovo strumento temporaneo permetterà di costituire una rete di sicurezza a difesa dei lavoratori e delle lavoratrici delle economie più colpite dalle conseguenze della crisi sanitaria. Dal punto di vista formale, l’assistenza finanziaria verrà garantita tramite una decisione adottata dal Consiglio su proposta della Commissione europea.

Luca Visentini, segretario generale della Confederazione europea dei sindacati (CES), ha affermato: «Viste le lacune a livello nazionale e internazionale, i problemi di copertura e l’incredibile ritardo nel rendere operativa la SURE, il rischio è che se gli Stati e l’UE non intervengono rapidamente gran parte di questi 42 milioni di lavoratori finisca disoccupata.» Dalla stessa CES viene, inoltre, avanzata una critica a questo strumento temporaneo, in quanto «fornisce solo un sostegno finanziario e quindi perpetua le potenziali carenze strutturali dei sistemi nazionali.»

Per approfondire: il commento al rapporto dell’ETUI e il comunicato del Consiglio

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