2011: un anno difficile per i lavoratori di tutto il mondo

968

La Confederazione Internazionale dei Sindacati (CSI) ha pubblicato il 6 giugno il rapporto annuale 2011 sulle violazioni dei diritti sindacali. Dall’indagine svolta in 143 Paesi emerge un quadro inquietante che rivela come l’anno passato sia stato difficile e spesso pericoloso per i lavoratori di tutto il mondo, con arresti, detenzioni carcerarie e addirittura la morte per quanti hanno osato lottare per la libertà sindacale di fronte al licenziamento.

La Colombia si rivela ancora una volta il paese più pericoloso al mondo per i sindacalisti: delle 76 persone uccise per le loro attività sindacali (dato questo che non tiene in considerazione i lavoratori uccisi nella Primavera araba), 29 hanno perso la vita in Colombia.

Le tendenze evidenziate nel sondaggio rivelano come i diritti dei lavoratori siano fortemente minacciati in tutto il mondo: mancato rispetto della legislazione del lavoro da parte dei governi, mancanza di finanziamenti per l’ispezione del lavoro, scarsa protezione dei lavoratori, mancanza di diritti soprattutto nei confronti dei lavoratori migranti e sfruttamento della forza lavoro in gran parte femminile nelle zone di esportazione in tutto il mondo.

Il rapporto dedica poi un capitolo al fenomeno della Primavera araba e alle rivoluzioni in atto in Nord Africa, Medio Oriente e gli Stati del Golfo dove la repressione dei diritti sindacali è stata particolarmente dura in queste regioni e dove le organizzazioni sindacali hanno svolto un ruolo di primo piano, in particolare in Tunisia, Egitto e Bahrain. Caro il prezzo pagato: centinaia di attivisti sono stati uccisi negli scontri e migliaia sono stati arrestati. Oggi però la strada verso la creazione di un movimento sindacale indipendente sembra ben avviata, anche se manca ancora la libertà di associazione in alcune nazioni, come in Arabia Saudita, negli Emirati Arabi Uniti, in Eritrea e in Sudan.

L’indagine si sofferma poi sulle conseguenze negative che la crisi economica mondiale ha scaricato sui lavoratori: la disoccupazione ha raggiunto quota 205 milioni nel 2011 e i giovani hanno pagato il prezzo più caro (esempio in Spagna il 40% dei giovani è disoccupato e sono aumentate le forme precarie di lavoro, che rendono estremamente difficile la difesa dei diritti dei lavoratori da parte delle organizzazioni sindacali (esempio in Sud Africa, Bangladesh, Cambogia e Pakistan).

Nel rapporto si sottolinea come, in molti paesi, gli scioperi siano stati ferocemente repressi per mezzo di licenziamenti di massa, arresti e detenzione (esempio nel solo Botswana sono stati licenziati 2800 lavoratori dopo uno sciopero del settore pubblico). Ma i diritti sindacali non solo sono sotto attacco in quella parte di mondo detta “in via di sviluppo”: sono minacciati e a forte rischio in molti paesi industrializzati, tra cui in Canada, dove il governo conservatore ha più volte cercato di minare l’unione organizzazione e diritti di contrattazione collettiva.

I lavoratori migranti restano un altro gruppo molto vulnerabile, in particolare negli Stati del Golfo, dove rappresentano la maggioranza della forza lavoro in Kuwait, Qatar e gli Emirati Arabi Uniti, ma hanno pochissimi diritti. Tra questi lavoratori rientrano circa 100 milioni di lavoratori domestici (la categoria di lavoratori maggioramente vulnerabili), in maggioranza donne, con poca consapevolezza dei loro diritti e dei mezzi per farli rispettare.

Il rapporto fornisce inoltre informazioni specifiche, divise per regione (Americhe, Africa, Europa, Asia-Pacifico, Medio Oriente.

Clicca qui per consultare l’intera indagine

1 COMMENTO

  1. Le violazioni dei diritti sindacali,per la difesa e la elevazione della “dignità del lavoro” nel mondo, respingendo i licenziamenti ingiustificati, sono “violenze alle persone” tanto persistenti e diffusi quanto più risulta assente o viene impedito l’esercizio della “democrazia politica” sia nella società civile che la “democrazia economica” nelle attività produttive di beni e servizi.
    Fondamentale per i lavoratori è acquisire la “libertà di associazione sindacale” che, esprimendo rappresentanze democraticamente elette, propongono di regolare le condizioni retributive e normative di lavoro con la “contrattazione collettiva” ai livelli dei comparti produttivi, territoriali e aziendali, non escludendo un “coordinamento contrattuale” condiviso nelle imprese multinazionali operative e produttive, in competizione, nel mondo.
    Non siamo all’anno zero, dal 1948 ad oggi, pur conoscendo la Convenzione n.87 sulla “libertà sindacale” – diramata e in molti Paesi disattesa – della Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO).
    La parola “globalizzazione” – con le attività produttive multinazionali e con i Sindacati dei Lavoratori – raramente si coniuga con la parola “lavoro”, pur proclamata “essenziale e prioritaria” sia in Italia che in Europa.
    Ma anche nei Paesi medio orientali e nordafricani il “lavoro” è ridotto similmente a merce – scambiabile – unicamente per sostenere un’altrettanta ridotta sopravvivenza individuale e famigliare, sfruttando il lavoro minorile e delle donne, reprimendo le libertà associative sindacali,in assenza di regole condivise, già indicate nell’art. 11 della già citata Convenzione 87/OIL sia “ai lavoratori che ai datori di lavoro, con il libero esercizio dei diritti sindacali”.
    Appena 12 anni fa (il 27 giugno 200)anche la OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico)
    indicava al mondi delle imprese multinazionali le “linee guida” in materia di lavoro e di rapporti di lavoro, congiunti al rispetto dei “diritti umani universali del lavoro” riproposti nel “Global Compact” o “Patto Globale” nei cui scopi primeggia il “diritto al lavoro” e non ai “licenziamenti ingiustificati” aggiungo io.
    Con il Global Compact ,innanzitutto, sono vietate le forme di lavoro forzato e obbligatorio oltre alla effettiva eliminazione del lavoro minorile.
    Il 2011 è stato, ancora, l’anno difficile e pericoloso di violenza anche mortali contro persone – lavoratori e loro rappresentanti sindacali.
    Persone che chiedevano l’ esercizio di un loro diritto : “il lavoro contrattato e partecipato”, mediante le libere associazioni sindacali.
    Sono certo che la condivisione di questi diritti di libertà associativa del lavoro da parte del “sindacalismo italiano” – nella sua pluralità – non può essere solo formale ma partecipe, con continuità, per contribuire e favorire in ogni sede decisionale istituzionale, pubblica e privata, le dichiarate e libere aspirazioni sindacali e associative democratiche di milioni di lavoratori inascoltati e repressi nel mondo.
    Io penso che anche in momenti difficili, nella dimensione mondiale, le imprese che “corrono” per conquistare “vantaggi competitivi” secondo unici tornaconti di “variabili economici” – sempre meno imprenditoriali e/o non partecipate dei lavoratori e ancor più “finanziarie” ed anche multinazionali ma “fuori da linee guide responsabili” – non potranno “mai” favorire, con priorità, il “lavoro” e la contrattazione collettiva delle condizioni di lavoro.
    Il persistere con tali orientamenti, pur incentivando investimenti esteri si ripeterebbe il “mordi e fuggi” del recente passato nelle area del Mezzogiorno,come in atto da oltre venti anni nel basso Lazio.
    Ma oggi, non si ridurrebbero neppure i debiti pubblici; non si alimenterebbe una “vera crescita” e, con essa realmente mancante, risulterebbero “solo parole al vento” anche i promessi riequilibri socio-economici dei Paesi che attendono il “pareggio di bilancio” – in Italia al 2013 – e nell’Europa con le verifiche dei “Patti di Stabilità”, nonostante i pesanti sacrifici richiesti anche ai cittadini italiani-europei.
    Positivo e necessario è – a mio avviso – il riconoscere universalmente alle imprese che la scelta volontaria di “Patto Globale” è “vantaggio competitivo” – quale differenziale – rispetto ai propri concorrenti.
    Perché – riconosciute quali “imprese socialmente responsabili” – in materia di tutela dei principi e diritti fondamentali sul lavoro, promossi dalla Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL).
    Dall’ottobre 2012, non casualmente, la OIL sarà diretta dall’ex leader sindacale inglese Guy RYDER che è figura forte e potrà far fare un salto di qualità alla Organizzazione Internazionale del Lavoro.
    E’ proprio assolutamente necessario quanto urgente promuovere e rafforzare il “dialogo” la “concertazione” con tutte le istituzioni “finanziare ed i governi” partendo dai Paesi cui si riferisce la indagine sulle “violazioni dei diritti sindacali” pubblicata nei giorni scorsi dal CSI (Confederazione Internazionale dei Sindacati).
    Ma è altrettanto urgente affrontare con decisioni cogenti – in questo giugno 2012 – la dimensione europea rapportata alla “crisi globale del lavoro” che richiede la “creazione di nuova occupazione di qualità per almeno un miliardo e mezzo di persone nel mondo”.
    Ecco che mi appare puntuale e impegnativa la dichiarazione del neo direttore ILO Guy Ryder riportata da Conquiste del Lavoro (cisl) il 10 giugno 2012: “la nostra priorità sarà quella di mettere le persone e il mondo del lavoro al centro di ogni nostra attività”. Ed aggiunge:” il nostro obiettivo sarà quello di fare la differenza per migliorare la vita di milioni di persone”. Buon lavoro direttore, per i prossimi cinque anni.
    Sono certo che non mancherà il sostegno del sindacalismo democratico italiano.
    Donato Galeone – già Segretario Provinciale Cisl di Frosinone e Regionale Lazio
    12 giugno 2012

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here