Si è alzato un violento vento di proteste in tutto il Medio oriente e oltre contro l’ennesima e sciagurata provocazione di un film blasfemo sul Profeta Maometto, dal titolo “L’innocenza dei musulmani”. Un film girato, in oscure condizioni, da un cristiano copta negli Stati Uniti e che ha provocato una prevista e incontenibile reazione da parte di tutto il mondo musulmano. Alto il prezzo pagato, in vite umane, dai manifestanti e altrettanto alto il prezzo pagato dagli “occidentali”, a partire dalla morte dell’Ambasciatore americano in Libia e di altri funzionari, fino all’attentato in Afghanistan.
Ma il film su Maometto, che da solo non spiega il perché di tanta violenza e di tanto rancore, interviene in un momento particolarmente difficile per il futuro delle Primavere arabe e in un contesto regionale ad alta instabilità. È fuori di dubbio che nel cuore delle manifestazioni, sia a Tunisi che al Cairo e più in particolare a Bengasi, si è fatta sentire la presenza del fondamentalismo islamico e salafita, nelle sue varie espressioni e organizzazioni. Un fondamentalismo che ha ritrovato voce e presenza dopo anni di contenuto e imposto silenzio, dopo anni di una lotta al terrorismo fallita soprattutto nei metodi e forse anche nel merito, dopo anni di ambigue relazioni fra Occidente e Medio oriente. Ed è questo vento del fondamentalismo, spinto da una forza che sembra rinvigorirsi col passare dei mesi che soffia ora sulle fragilissime Primavere arabe e sui suoi processi di transizione verso un difficile equilibrio di forze che coniughi islam e democrazia, libertà e benessere economico e sociale. Sono sempre più inquietanti infatti, sia in Tunisia che in Egitto e in parte anche in Libia, i segnali di una difficoltà, da parte dei nuovi Governi, a mantenere l’obiettivo di un tale equilibrio, incalzato sempre più apertamente verso l’estremismo da quelle forze presenti od escluse dal nuovo assetto istituzionale scaturito dalle libere elezioni.
Questo avviene oggi in un contesto politico regionale estremamente sensibile e instabile. La guerra in Siria, che non si può più chiamare solo guerra civile visto che sta coinvolgendo, con prese di posizione pro o contro il regime e con aiuti militari ai ribelli o alle forze governative, quasi tutti i Paesi della Regione. A cominciare dall’Iran sciita che proprio in questi giorni ha dichiarato apertamente il suo sostegno alle forze governative siriane, mandando un chiaro messaggio a chi vorrebbe intervenire per porre fine alla dittatura di Bachar al Assad. Un messaggio rivolto in particolare ai Paesi sunniti, Arabia Saudita, Qatar, Egitto e Turchia, segnando così concretamente una linea di spaccatura fra Paesi sunniti e Paesi sciiti. Un messaggio di forza inviato tuttavia anche ad Israele, che continua a minacciare un intervento armato contro l’Iran a causa del suo programma nucleare. Questa linea di spaccatura sta ridisegnando i rapporti di forza in una Regione di enorme importanza geostrategica, dove l’ipotetica caduta o meno di Bachar al Assad annuncia imprevedibili risvolti, a seconda degli interessi in gioco delle parti. Senza contare che la guerra civile in Siria, la cui popolazione è composta in maggioranza da sunniti, ma il Governo è nelle mani di una minoranza sciita alawita, potrebbe riproporsi in altri Paesi, come il Libano o l’Irak, dove sono presenti le due comunità.
Il nuovo Presidente egiziano Morsi, in un suo recente discorso, aveva manifestato la sua volontà di riavvicinare sunniti e sciiti in un nuovo dialogo. L’impresa, come quella di mantenere un equilibrio politico e istituzionale all’interno del suo Paese, sembra sempre più difficile. Mentre su tutti i Paesi del Medio oriente continua a soffiare il vento della protesta contro l’Occidente, mentre le Primavere arabe stanno correndo un serio pericolo, deboli e inadeguate sono le voci che arrivano dall’Europa. La situazione è sempre più pericolosa e imprevedibile e l’Europa non può più permettersi di stare a guardare, perché è la sola a poter immaginare un nuovo dialogo, una nuova cooperazione, una nuova politica di interessi comuni e condivisi da una parte e dall’altra del Mediterraneo. Nel rispetto di tutti.