Unione Europea: è ora di anticipare il futuro

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La nuova legislatura UE era partita con il piede giusto e molta ambizione: il Parlamento europeo convocando una “Conferenza per il futuro dell’Europa” e la Commissione lanciando un coraggioso Piano verde, il “Green deal” europeo: due iniziative, insieme ad altre, destinate a risvegliare l’UE dal letargo e a prepararla al futuro.

Tutto questo avveniva nei mesi scorsi, quando le turbolenze mondiali stimolavano dinamiche di cambiamento da realizzare nel medio termine. Da allora il quadro politico ed economico per l’Europa è cambiato radicalmente: l’irruzione, praticamente simultanea, sulla scena europea dell’epidemia del coronavirus con le sue pesanti conseguenze anche per l’economia e il precipitare della crisi umanitaria, provocata dalla guerra tra la Siria e la Turchia, impone all’UE di rivedere le sue politiche e i suoi calendari.

Ormai è chiaro che sono urgenti iniziative condivise di politica estera e di sicurezza e  interventi straordinari in materia di sanità pubblica, da accompagnare con misure innovative di politica economica.

Sono tre fronti sui quali l’UE dovrà muoversi in modo coordinato, nonostante che diversa sia la natura delle competenze chiamate ad intervenire.

Sul fronte economico l’UE ha poteri limitati ma effettivi, in particolare per quanto riguarda la gestione degli equilibri delle finanze pubbliche nazionali, tanto sul versante della spesa, per i Paesi in difficoltà, che su quello degli investimenti, per i Paesi dotati di bilance commerciali con importanti surplus (come Germania e Olanda), senza dimenticare lo strumento del bilancio comunitario che è il momento adesso o mai più di rafforzare.

Più complessa la situazione sul fronte della politica estera e della sicurezza, compreso quello delle politiche migratorie. Qui i poteri dell’UE sono più che modesti e spesso non vanno oltre volenterose dichiarazioni di intenzione. Su questo versante l’UE deve fare i conti con le competenze della NATO e gli interessi del suo azionista di riferimento, gli USA. 

In queste condizioni è difficile accordarsi per una soluzione condivisa del dramma umanitario che, dalla frontiera turca, incombe adesso su Grecia e Bulgaria e domani sull’intera Europa.

E’ auspicabile che si cominci con il respingere il ricatto di Erdogan, cui si è già concesso anche troppo, non solo per i miliardi di euro pagatigli per trattenere i profughi, ma anche per le scorribande che gli sono state consentite in Mediterraneo in occasione del conflitto in Libia.

Se davvero la NATO non è “in stato di coma cerebrale”, come denunciato da Emmanuel Macron, è venuto il momento che batta un colpo con un alleato che prima tresca con quel Putin che ora il neo-sultano sembra voler affrontare sul campo di battaglia.

Adesso che tutti, o quasi, abbiamo capito che sul fronte della sanità pubblica e dell’epidemia del coronavirus l’UE ha pochi strumenti per intervenire, è il momento di chiedere che davanti a un evento straordinario si adottino misure straordinarie, forzando se necessario – con il consenso dei Paesi membri e del Parlamento europeo – i vincoli imposti dal Trattato o, almeno, interpretandoli con il massimo di flessibilità consentita.

Non è il momento di impiccarsi al totem esausto dei Trattati: quello attualmente in vigore è di dieci anni fa, precedente alla crisi economica e impossibilitato a prevedere la pressione dei flussi migratori e un’epidemia come quella che stiamo vivendo.

Il diritto è certo un architrave importante dell’UE, a patto che sia in grado di reggerne la struttura oggi pericolante e salvaguardarne il futuro. Considerazioni che non piaceranno ai giuristi. Della guerra Georges Clémenceau disse che era cosa troppo seria per lasciarla ai generali; oggi diciamo che la vita dell’Unione Europea è cosa troppo seria per lasciarla nelle mani dei giuristi. E in quelle di miopi politici senza coraggio.    

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