Unione Europea con vista su Trump e Draghi

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Tre eventi importanti, anche se di diversa rilevanza politica, si sono susseguiti nella settimana scorsa: martedì 5 novembre, il clamoroso esito elettorale americano, giovedì e venerdì due Vertici europei, il primo con i leader di una quarantina di Paesi dell’Europa “geografica” e l’altro con i Capi di Stato e di governo dell’Unione Europea, mentre a Pechino Sergio Mattarella incontrava Xi Jinping, presidente della Repubblica popolare cinese. 

Conoscendo come vengono attentamente definite le agende politiche ai massimi livelli è da escludere che si tratti di coincidenze impreviste, utili comunque per intrecciare qualche riflessione sul futuro dell’Occidente, su quello del continente europeo e sulle prospettive dell’Italia in questa transizione politica ad alto tasso di incertezza.

Il voto americano ridisegna una mappa politica del mondo solo parzialmente nuova: in parte è ancora quella già annunciata nel primo mandato di Trump alla Casa Bianca, dal 2017 al 2021, adesso dai contorni più netti vista la quasi totale occupazione del potere – Corte suprema, Senato e forse Camera – da parte del neo-presidente. 

L’attenzione prevalente USA si confermerà quella della competizione con la Cina e delle tensioni prevedibili nell’area dell’Indo-pacifico, con possibili ridotti impegni nell’area atlantica, in particolare nel sostegno all’Ucraina e con annunciate misure protezioniste nei confronti di un’economia europea in difficoltà con rischi di stagnazione.

Dai due Vertici europei di Budapest non sono venute risposte incoraggianti: non dalla “piccola-grande Europa” della Comunità politica europea, con la presenza di oltre quaranta Paesi del continente, un’aggregazione recente tutt’altro che coesa politicamente e alla ricerca di un futuro tutto da scrivere. Non molto meglio hanno fatto i Capi di Stati di governo UE, riuniti per un Vertice informale, ancora lontani da orientamenti comuni da adottare con il vecchio-nuovo inquilino della Casa Bianca. Significativo che, tra tutti quei leader in carica, sia stata centrale la voce di un ex-leader politico, Mario Draghi, tornato a stimolare l’Unione Europea perché trovi il coraggio di rimbalzare, recuperando i suoi molti ritardi e trovare nuovi strumenti finanziari per gli investimenti necessari destinati a sottrarre l’UE dalla dipendenza tanto dagli USA che dalla Cina, in particolare in materia di competitività e di difesa comune. 

L’impressione, ancora una volta, che sia stata un voce nel deserto, quella di un “gigante” tra i “nani”, tra i quali figurano in prima linea due voci tedesche: quella del cancelliere tedesco alla vigilia di una crisi di governo e di possibili elezioni anticipate in primavera e quella della presidente “in pectore” della Commissione europea, molto reticente sulla proposta di Draghi di prendere seriamente ed urgentemente in considerazione un nuovo debito comune europeo come fatto coraggiosamente nel 2020 in risposta alla crisi indotta dalla pandemia.

Non stupisce che la proposta non piaccia ai “falchi” del nord e sia sostenuta in particolare da Francia e Italia, entrambe in cattive acque finanziarie.

E proprio questa Italia, dalla crescita stentata sotto l’1% del Prodotto interno lordo, era rappresentata a Pechino, nelle stesse ore, dal nostro presidente della Repubblica ancora una volta interlocutore credibile ed apprezzato, “un buon amico” per la Cina, cui ha ricordato che non è tempo di continuare sulla strada del conflitto tra blocchi, magari col pensiero a un’Unione Europea che “blocco” compatto non è mai stata e adesso rischia di frammentarsi ulteriormente, anche per le pericolose nostalgie nazionaliste del governo italiano, più sedotto dalla sirena atlantista che dal progetto europeista.

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